Pagine da ricordare: “Leggere Tondelli attraverso Barthes, leggere il mondo attraverso Tondelli” (Anna Remelli)

Altro intervento consegnato al

X seminario Tondelli

Qui ci s’interroga sulla grammatica

affettiva dei personaggi

dell’ultimo romanzo di Tondelli:

“Camere separate”.

Lettura che è buon viatico per entrare

[ancora una volta]

nell’opera di Tondelli,

lasciando a una seconda battuta

il più famoso “Altri libertini”

[del quale quest’anno, peraltro, ricorre il trentennale]

 

Ma io vivevo solamente negli spazi

delle mie emozioni d’amore

e dove più stavo male

e più le mie intimità erano stravolte dalla passione

e i miei pensieri dal sentimento,

e dove i miei equilibri più infranti

e le mie sicurezze turbate, più sentivo di esserci.

Cercavo solamente grandi burrasche emotive.

Questo per me era l’unico modo di amare. [1]


Non solo Un Weekend Postmoderno, ma anche Camere Separate merita la definizione di “romanzo critico”. In particolare, il romanzo apre un confronto con il modello dei Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, mappa allegorica composta da figure che,  nel loro tentativo di fissare le parole e i gesti dell’innamorato, non sono da intendersi solo in senso retorico, ma anche, e soprattutto, in senso ginnico o coreografico. L’innamorato, annota Barthes, si dimena in uno sport un po’ pazzo, si prodiga, proprio come l’atleta. Come il dis-cursus indicava, in origine il correre qua e là, le mosse, i passi, gli intrighi così, allo stesso modo, l’innamorato non smette di correre, di riflettere, di perdersi all’interno della propria mente, costruendo all’interno di sé una geografia basata su diversi topoi dell’amore: frammenti di ciò che l’innamorato dice all’oggetto amato che invece non parla.

Le figure raccolte nei Frammenti di Barthes sono inserite in Camere separate seguendo una trama narrativa ben precisa, che rievoca l’itinerario amoroso di Leo e del compagno Thomas parallelamente al tema della separatezza, innescata già a priori dal sentimento di non-appartenenza del protagonista nei  confronti della società cui dovrebbe aderire.

La figura dell’incontro, la prima ad essere analizzata, non è da considerarsi solamente come la prima istantanea del rapporto, ma anzi come una tensione completa verso ciò che «sta per diventare il mio altro»[2]. È una conoscenza progressiva in cui si scopre la perfezione dell’oggetto amato. L’incontro è allora un insieme di tappe, la prima delle quali corrisponde alla cattura di un’immagine: Leo e Thomas infatti si incontrano casualmente a casa di amici comuni e, rapiti da un colpo di fulmine, sono presto ipnotizzati l’uno dall’immagine dell’altro. L’innamoramento, per essere tale, ha bisogno di essere improvviso: esso infatti cade fatalmente sul soggetto amoroso-Leo, disarmato e rapito dall’immagine dell’oggetto amato-Thomas; e questa figura iniziale è il quadro che consacra il ricordo di quest’ultimo nella separatezza. La contingenza e l’estrema presenza degli oggetti (il pianoforte, la cucina, le bottiglie), estesi al di fuori dell’emotività, fanno sì che la mente di Leo inizi a raccontare la sua storia proprio da quel ricordo:

Leo si sofferma sul ragazzo al pianoforte accarezzandolo con lo sguardo. Lo indaga, lo scruta. Vede Thomas per la prima volta. E Thomas, come sentisse tutto il peso di quello sguardo, alza la testa fissandolo per una frazione di secondo. Subito poi riabbassa gli occhi sulla tastiera e riprende a dondolarsi bruscamente seguendo lo swing di Michael.[3]

L’immediato vale allora per il tutto e alla prima istantanea, quella dell’incontro, fa seguito quella del rapimento: l’immagine di Thomas al pianoforte, immobilizza e prepara il desiderio di innamoramento del protagonista: come dice Barthes, «ciò che mi affascina, che mi rapisce, è l’immagine di un corpo in situazione»[4]. Se l’oggetto è ‘impegnato’, è garantita l’innocenza dell’immagine: Thomas è prima occupato a suonare il pianoforte, poi ad aprire una scatola di vino. Leo, per innamorarsi, ha dunque bisogno di sorprenderlo nell’attimo in cui egli mostra la propria innocenza[5], e la fascinazione di un’immagine irripetibile corrisponde alla specialità del proprio desiderio.

Tuttavia, nonostante l’impossibilità di fissare la figura della propria verità in stereotipi convenzionati, egli cade proprio nella tentazione di analizzarla secondo la verità degli altri[6]. È passato qualche giorno dall’incontro e un amico persuade Leo a tentare una classificazione di Thomas secondo quei modelli culturali e sociali che gli hanno permesso la costruzione di una propria direzione:

Di certo Thomas non è un Chez Maxim’s. Non è il tipo che ognuno crederebbe il proprio ideale così a prima vista, il tipo che si accoglie a braccia aperte senza guardare, esaminare, assaggiare. […] Probabilmente […] non è neppure un Whitman, nel senso definito da Allen Ginsberg. […] Non è nemmeno un wrong blond, definizione che nel 1939 Wystan Auden diede di Chester Kallmann, colui che sarebbe diventato il compagno della sua vita. […] Forse è piuttosto un Vondel Park. Nel suo aspetto fisico, infatti, c’è la sopravvivenza del tipo nordico degli anni settanta.[7]

Leo tenta una classificazione dell’oggetto amato per induzione, per «contagio affettivo», come se il linguaggio, i libri, gli amici dovessero mostrare al soggetto chi egli deve veramente desiderare. Scrive Barthes «La cultura di massa è una macchina che indica quali sono le cose da desiderare: questo è ciò che deve interessarti, dice, come se intuisse che gli uomini sono incapaci di trovare da soli chi devono desiderare»[8]. Ma, di nuovo invitato a classificare l’oggetto amato, Leo rinuncia a riconoscere l’amato secondo questi stereotipi: «Allora? Che tipo è Thomas? […] Thomas non è nessuno, si dice Leo, per il momento Thomas  non è assolutamente nessuno»[9]. Scrive ancora Barthes «Bisogna che io mi liberi da ogni desiderio di fare bilanci; bisogna che ai miei occhi l’altro risulti spoglio di qualsiasi attributo»[10]. Proprio perché esente da aggettivi, egli non può essere classificato secondo paradigmi; senza una collocazione egli non può essere decifrato, «l’innamorato dirà […] Tale: tu sei così, esattamente così»[11]. Spogliato di ogni attributo, Thomas è sospeso da ogni classificazione, egli è amato da Leo non per le sue qualità ma per la sua esistenza: «io amo non ciò che è, ma: in quanto è»[12].

Al rapimento dall’immagine fa seguito una serie di telefonate, incontri casuali,  appuntamenti in cui i due uomini cercano di scoprirsi in rapporto con la percezione dell’altro fino a che la dismisura conduce alla misura ‘Leo-con-Thomas’. In questo modo l’imperfezione del singolo si proietta nell’altro, ‘nell’altra metà’, trovando nella coppia la raffigurazione perfetta dell’immagine di sé. L’amore si concretizza così nella figura di un’identità duplicata, una completa fusione con l’amato che distorce il rapporto secondo una direzione ben definita: il rapporto tra i due amanti è infatti descritto, sin dall’inizio del romanzo, come un legame filiale. Il ‘bambino-Thomas’ dimostra continuamente la necessità di appoggio al compagno e, per questo motivo, Leo decide, anche per la differenza d’età tra i due[13], di impostare la loro relazione «come un percorso eterno, quello della madre con il figlio stretto in braccio»[14]. «L’abbraccio è insieme maternità e genitalità, unione totale di voluttà infantili e desideri sensuali»[15]. L’adulto-Leo si sovrappone, dunque, al bambino-Thomas in una fusione basata sull’annullamento reciproco: il rapporto non è allora soltanto misura del rapporto con l’esterno ma costruzione di una nuova soggettività, che può trovare nell’altro quel sostegno rifiutato dalla comunità: «Leo infatti non si presentava più all’esterno come Leo, ma come Leo-con-Thomas»[16].

La ricerca di un rapporto totalizzante con l’altro[17] è dunque un passo necessario per una possibile legittimazione di sé nel mondo. Così come per i personaggi di Altri libertini, infatti, l’altro rappresenta una via di fuga in cui proteggersi, una sospensione dell’incertezza a favore di una soggettiva completezza. A quest’ultima, nel discorso amoroso, corrisponde la figura dell’appagamento, per cui il soggetto amato coincide con l’oggetto del desiderio e il risultato della loro relazione con il Bene Supremo. Come scrive Barthes, parafrasando Nietzsche:

Appagamento vuol dire abolizione dei retaggi: «… la Gioia non ha alcun bisogno di eredi o di bambini – La Gioia vuole se stessa, l’eternità, la ripetizione delle stesse cose, essa vuole che tutti resti com’è». – L’innamorato appagato non ha alcun bisogno di scrivere, di trasmettere, di riprodurre.[18]

Ma il giudizio altrui e, soprattutto, l’eteronormatività imperante nella società, tornano a questo punto ad osteggiare il rapporto tra i due amanti.  Leo è infatti contagiato dal giudizio esterno e non può fare a meno di continuare a pensare «di aver vissuto non una grande storia d’amore, ma una piccola avventura di collegio»[19], sminuendo così l’interezza del suo rapporto con l’altro ad una mera voglia adolescenziale[20]. Se Thomas, infatti, accompagna Leo ad una conferenza in qualità di interprete, il primo non può evitare di notare che «quei signori erano sempre sul punto di chiedersi che tipo di relazione ci fosse fra lui e Thomas»[21]. Invece di lottare contro la ‘normalità’ imposta, Leo finisce così per accettare con rassegnazione il giudizio altrui, nel timore che, affermando la propria sessualità, si dichiari l’appartenenza ad una comunità in contrasto con quella di cui egli desidera far parte. Dall’altro lato Thomas vorrebbe vivergli accanto, superando, con un atto di coraggio, quelle convenzioni sociali oppressive nei confronti del mondo omosessuale. Leo, in risposta, svela la propria concezione contraddittoria dell’amore, confessando la propria incapacità nell’affrontare una relazione basata sulla convivenza;

Che fine avrebbe fatto il loro amore? dovevano per forza normalizzare un rapporto che la società non poteva appunto recepire come norma? Non sarebbero divenuti lo specchio di quelle convivenze grottesche di omosessuali in cui qualcuno sempre cucina e qualcun altro va sempre al mercato a fare la spesa? «In cui i due amanti si assomigliano, negli atteggiamenti, nei modi di fare, addirittura nelle espressioni del viso, al punto da diventare due patetici replicanti di un medesimo, insostenibile, immaginario maschile, svirilizzato e infemminato? [22]

Tale incongruenza di stati d’animo, apparentemente inconciliabili, trova un punto d’incontro nell’ingenua attitudine di Leo verso quel mondo, insieme, atteso e rifiutato: egli, infatti, identifica il rapporto con Thomas da un lato come un’autentica espressione esistenziale della propria identità, dall’altro come la rivelazione dell’inutilità delle proprie azioni, che contribuirebbero ad allontanarlo invece  dalla società. Leo, malgrado lo critichi, invidia a quel modello di società piccolo-borghese un qualcosa di modesto, ovvero la struttura: come direbbe Barthes «egli vuole fare parte di un sistema, poiché il sistema è un insieme in cui tutti hanno il loro posto (anche se questo non è un buon posto)»[23]: un rapporto omosessuale, al contrario, continua ad essere classificato come anomalo.

L’angoscia di vivere un rapporto totalizzante con l’amato crea in Leo un secondo ordine di problemi, per i quali, nonostante l’amore provato per il compagno, egli si scopre incapace di vivere un rapporto a due:

Quella notte a Duisburg, invece, fu lui a sentirsi in trappola. A vedersi come assorbito da Thomas, da un ragazzo ancora molto giovane, che non aveva un lavoro, una professione, una sicurezza. Che si stava formando. Che doveva ancora decidere della propria vita. E cominciò a sentirsi come in una palude. Aveva impiegato anni e anni per costruirsi qualcosa di molto simile a un’esistenza normale, aveva sofferto, patito, sopportato.[24]

Thomas si accorge di ciò nel momento di dover dividere il letto con Leo. Egli è «immobile, con gli occhi sbarrati a chiedersi per quale motivo giacesse accanto ad un carnefice, a qualcuno che lo stava crudelmente spossessando del sé»[25]. Da individuo sventurato e compassionevole, Leo si trasforma in un essere ‘mostruoso’; Barthes annota: «il discorso amoroso soffoca l’altro, il quale, schiacciato da questo dire massiccio, non trova spazio per esprimersi»[26].

Per evitare, dunque, una completa trasfigurazione dell’amore, gli amanti devono così  necessariamente ricercare una nuova forma di rapporto, fondata sulla distanza. L’elaborazione del problema della separatezza viene così affrontato da Tondelli secondo due direttrici: oltre ai Frammenti di un discorso amoroso, egli sviluppa tale tematica attraverso lo studio dello psicanalista Alexander Caruso, La separazione degli amanti, analisi della rielaborazione del lutto secondo tre tappe fondamentali: il dolore per la perdita, la destrutturazione dell’io e la ristrutturazione dell’io[27]. Pur facendo ricorso alle teorie del lutto, tuttavia, Caruso fa riferimento, in particolare, alla separazione fra amanti viventi: il punto di partenza prevede dunque che due persone, al culmine di un amore, decidano di separarsi, consapevoli del fatto che continueranno ad amarsi. La grande passione si scontra con i valori della collettività, assimilati dagli amanti; separarsi, dunque, non risponde ad un bisogno di definitivo allontanamento dall’oggetto amato, quanto piuttosto alla conferma del rispetto per se stessi e l’altro, alla ricerca di un certo equilibrio tra le due identità; ognuno si realizza perché unico, inclassificabile[28]. E ancora Barthes, a proposito della figura tale, già analizzata: «Noi  siamo due navi, ognuna delle quali ha la sua meta e la sua strada»[29]: ecco che anche in Camere separate, la soluzione, per Leo e Thomas, sembra essere quella della «separazione in contiguità»[30], ossia quella di un amore apolide[31], basato sulla distanza:

La piccola frase che si trovò a scrivere in una di queste lettere fu “camere separate”. E spiegò a Thomas che avrebbe voluto, con lui, un rapporto di contiguità, di appartenenza ma non di possesso. Che preferiva restare solo, ma nello stesso tempo, pensava a lui come all’amante prediletto, al favorito di un fidanzamento perenne.[32]

L’equilibrio raggiunto è però spezzato definitivamente dalla morte di Thomas, evento che getta Leo in uno stato di profondo abbandono da cui fatica a riemergere. E’ l’inizio della prima fase analizzata da Caruso, quella segnata dal dolore per l’arrivo della morte nella coscienza umana[33]. Leo è intrappolato nella distorsione temporale e spaziale generata da tale perdita, per cui «il lutto assurge ad espressione. Senza di te io non sono più»[34]. Egli è bloccato in una sorta di presente che è insieme il tempo della referenza e il tempo dell’allocuzione: Thomas se né andato, ma Leo, nonostante l’assenza dell’oggetto amato, non può evitare di rivolgersi a lui e, dunque, all’immagine dell’abbraccio si contrappone, nell’assenza amorosa, quella di «un’immagine staccata, che si secca, ingiallisce, s’accartoccia»[35].

Il presente diventa per Leo sinonimo di angoscia, «paura di una ferita, di un abbandono, di un improvviso cambiamento»[36]; con la morte di Thomas egli non possiede più quell’identità che era stata sancita dall’espressione Leo-con-Thomas; anzi, la perdita dell’amato, invece di spezzare il legame tra i due, lo altera, smascherando ancora una volta la fragilità di Leo, comunque alla ricerca di un meccanismo sociale che gli permetta di aderire allo schema della società. Il lutto è così paragonato più volte alla frattura primaria madre-figlio, ad un aborto, e Leo

sente il corpo sofferente e incancrenito di Thomas incollato al suo, proprio attaccato alla sua pelle, inchiodato. La femmina di un animale che si trascina appresso il cadavere del figlio, che si rifiuta di abbandonare quella carcassa ancora calda e sanguinante.[37]

Ciò che egli può fare è ri-iniziare un esame di sé attraverso la consapevolezza che egli d’ora in poi potrà solo contare su di sé. Il mito della gioventù eterna, osannato in Altri libertini lascia quindi lo spazio ad un tempo soggettivo ed autoreferenziale. La ricerca del proprio essere si avvia così verso una conquista della solitudine che fa viaggiare Leo per l’Europa, prediligendo le grandi metropoli, Milano, Londra, Barcellona, Berlino che, in chiave postmoderna, possono garantire l’anonimato («può stare solo senza soffrire di solitudine»[38] e rifugiarsi dopo il lungo vagabondare attraverso la propria vicenda mentale).

Diversamente dalle scelte di vita dei libertini, Leo non sceglie di scappare verso il fervore di una grande capitale per dare libero sfogo alle proprie intensità emotive; egli fugge, invece, per evitare ancora una volta la sindrome di disadattamento tipica del controllo sociale che soggiace alle piccole comunità della provincia. Se in Altri libertini le voci dei protagonisti sembrano grida e richieste d’ascolto, Camere Separate è strutturato al di sopra della superficie di un ‘discorso di solitudine’, poiché  il protagonista del romanzo «non può evitare di rievocare e ciò che fa soffrire è la purezza di questo ascolto»[39].

La solitudine è dunque l’immagine di una persona incompleta, in contrasto con la figura barthiana dell’unione che vede nella coppia l’immagine perfetta, «la gioia senza neo e senza mescolanza, la perfezione dei sogni, il fine ultimo di ogni speranza, la magnificenza divina […] il riposo indiviso»[40].

A questo punto, Leo entra nella seconda tappa della rielaborazione del lutto analizzata da Caruso: quella della destrutturazione dell’io; nella catastrofe egli si concentra su di sé[41], «cercando di abbracciare la parte più vera di se stesso recuperandola attraverso il ricordo, la riflessione, il silenzio»[42].

La perdita della persona amata porta Leo ad una totale dedizione nei confronti dell’‘altro’, che non lascia spazio ad altri pensieri o azioni; egli è completamente inibito dalla non-presenza di Thomas. Una forza maligna, quella della dipendenza dall’oggetto amoroso, lo conduce verso il male che si auto-infligge attraverso la solitudine della separatezza. Scrive Barthes:

Io cerco di farmi del male, mi espello da solo […] affannandomi di suscitare in me stesso le immagini [in Camere Separate sono quelle dell’abbandono e del ricordo] che possono ferirmi; e quando la ferita è aperta cerco di mantenerla tale, la alimento con altre immagini […].[43]

Leo non riesce ad abbandonare l’oggetto amato: la fase d’inabissamento, che nella descrizione barthiana della condizione amorosa identifica la «crisi di avvilimento che coglie il soggetto amoroso per disperazione»[44], non scatta allora a causa della separazione, ma, al contrario, a causa della fusione: «moriamo insieme per il fatto di amarci»[45]. La dicotomia tra ‘vita’ e ‘morte’ si realizza così in un freudiano «impasto di pulsioni», il cui funzionamento parallelo porta Leo verso l’abisso che minaccia l’esistenza dell’Io. In questo caso, però, la via d’uscita non si avvicina mai all’idea di suicidio[46] quanto, piuttosto, ad un momento ipnotico. Come annota Barthes: «in essa agisce una suggestione che mi ordina di svanire senza uccidermi. Di qui, forse, nasce la soavità della rinuncia: io non vi ho alcuna responsabilità, l’atto (di morire) non è nei miei doveri: io mi affido, mi consegno»[47]. Leo sceglie allora «la morte affrancata dalla morte»[48], decide, cioè, di soccombere alla debolezza che la perdita del compagno e la non integrazione con il mondo gli infliggono. Il che significa, in ultima analisi, scappare volontariamente dal ricordo, darsi il ‘tempo di de-soffrire’, senza scomparire totalmente.

L’annichilimento in cui si ritrova Leo a causa del doppio abbandono lo porta ad una totale distruzione di sé. Egli avverte ora la propria solitudine come disperazione:

Si rende conto di non aver nient’altro al di fuori di se stesso. Il lutto per la morte di Thomas, una morte che continua, ora dopo ora – quante volte al giorno Thomas per lui sta morendo? – lo sta soverchiando. Tutto in lui è in via di distruzione. O meglio, di eliminazione.[49]

È la catastrofe, figura teorizzata ancora da Barthes, quella che getta in uno stato d’incoscienza e di dolorosa asfissia che lacera la persona: «Io mi sono talmente trasfuso nell’altro che, quando esso mi viene a mancare, non riesco più a riprendermi, a recuperarmi: sono perduto per sempre»[50]. La catastrofe amorosa inoltre, sempre secondo Barthes, può essere avvicinata alla ‘situazione estrema’, a sua volta identificata dallo psicanalista Bruno Bettelheim come una situazione limite, in cui il soggetto percepisce il sé all’interno di un contesto traumatico, imprevedibile e a rischio di morte. Scrive Bettelheim:

Ci troviamo in una situazione estrema, quando veniamo improvvisamente catapultati in un insieme di condizioni in cui i vecchi meccanismi adattivi ed i valori di un tempo non sono più validi ed anzi alcuni di essi possono mettere in pericolo la vita che avevano lo scopo di proteggere. Ci troviamo allora, per così dire, spogliati di tutto il nostro sistema difensivo e scaraventati di nuovo sul fondo e per risalire dobbiamo costruirci un insieme di comportamenti, valori e modi di vivere adatti alla nuova situazione.

Il corpo di Thomas corrisponde, oltre che alla cifra dell’abbandono e del pericolo estremo, anche alla soglia, al luogo di transizione necessario per cominciare un cammino di rielaborazione. Scrive Handke ne Il cinese del dolore che «nella coscienza comune le soglie significano: passaggio da un ambito all’altro. E forse non siamo tanto consapevoli che la soglia è anche un ambito a sé, o meglio un luogo particolare, di prova o di protezione»[51]. La soglia è, dunque, una linea di demarcazione, un segno di confine da un luogo ad un altro. Non solo. Il corpo di Thomas corrisponde anche al passaggio obbligatorio verso una concreta ricapitolazione del sé: collocarlo nel tempo della Storia è il primo passo per dichiarare la fine dell’impasto tra chi è vivo e chi è morto. Thomas rappresenta allora una tappa nel processo di acquisizione del sé, un’incarnazione singola e limitata all’interno di un processo superiore. Attraverso la finitezza dell’esistenza, e la conseguente possibilità di collocazione degli oggetti, Leo può ritrovare la propria connotazione fisica e ricominciare a percepirsi dentro il mondo:

Capisce per la prima volta che non sta affatto morendo, come pensava. Sta continuando a vivere, anche se non proprio a desiderare. Sta continuando a vivere senza Thomas. Leo senza Thomas. È inconcepibile. Significa una sola cosa: che anche Leo è morto. E non nell’altro, che invece è arrivato fedele alla fine della sua esistenza. Ma proprio nel suo ideale. Perché lui è destinato a continuare e in questo modo a uccidere, giorno dopo giorno, quell’unità armonica che si chiamava Leo-e-Thomas e che ora non c’è più e non potrà più esserci.[52]

L’enfatizzazione dell’unità Leo-e-Thomas si scinde con la consapevolezza della morte dell’amato, permettendo a Leo di staccarsi dal cadavere dell’amante e iniziare finalmente un cammino di maturazione. Il viaggio interiore, che coincide allora con una spedizione oltre i confini del corpo di Thomas, trova una naturale rappresentazione in un viaggio a Londra. L’Inghilterra, geograficamente separata dal continente, si presenta agli occhi di Leo come possibilità di abbandono assoluto:

Londra avrebbe dovuto essere soltanto un punto di riferimento, la tappa finale del viaggio. E invece, durante la traversata per mare, diventa per lui un’idea di salvezza. Dopo circa un mese di piccoli spostamenti ora sta finalmente lasciando il continente e con esso il corpo martoriato di Thomas. […] L’Inghilterra gli appare come un paese separato e distante in cui non conosce nessuno e nessuno lo conosce, in cui può stare solo senza soffrire di solitudine, in cui può camminare, sedere al pub, bere, scrivere senza che nessuno lo  lo guardi o lo disturbi[53]

La situazione di ‘abbandono’ che Leo sceglie nel tentativo di espiare il proprio peccato, quello di essere sopravvissuto a Thomas, implica un più grave ‘scostamento’ del sé che, oltre ad inibire il modo di rapportarsi con l’ambiente, lo fa scivolare verso una totale rinuncia nei confronti del mondo: «il lutto per la morte di Thomas lo sta soverchiando, tutto in lui è in via di distruzione, meglio, di eliminazione[54]. Tale cancellazione porta ad una catarsi per cui Leo «ha trasformato la sua ossessione in uno sguardo aperto su se stesso, da quando Thomas è morto la sua sensibilità si è come purificata e ora cerca di andare verso l’essenziale»[55]. Egli, sentendosi colpevole nei confronti dell’oggetto amato inizia dunque un percorso di ascesi: «vuole starsene solo, non vuole parlare né tantomeno fare conversazione alle sette di sera, a tavola. Non vuole andare al cinema, né trovarsi a prendere un tè di fronte a un paio d’occhi sbarrati che cercano di capire. Non vuole doversi spiegare»[56]. Ma scavare dentro il proprio intimo, arrivando a toccare punti ancora inesplorati, lo porta a soccombere sotto il peso della propria debolezza. Sentendosi solo e annullato, Leo sceglie la deriva, l’avvillimento del sé, così che al distacco dal mondo corrisponde un più grande distacco dalla vita stessa; la condizione di separatezza che aveva scelto a seguito del lutto trova una naturale via d’uscita nella dissoluzione, nella catastrofe. Arrivato a Londra, questo totale disinteresse verso l’esterno lo porta a sintomi somatici ben più gravi. Un sonno non regolare, il rifiuto del nutrimento e della cura di sé l’impossibilità di scrivere e di comunicare il proprio dolore. Infine, il venir meno dell’interesse verso il mondo e l’inibizione rispetto a qualsiasi altra attività che non sia solitaria: «passa pomeriggi interi alle slot machine elettroniche o nelle sale-gioco aggrappato a un videogame»[57], «vaga da un pub all’altro, da una discoteca all’altra»[58]. E ancora: «non vuole vedere gli amici, non parla al telefono, non risponde alle lettere che gli arrivano»[59]. Scrive Botho Stauss ne La dedica

è proprio questo che chi è stato abbandonato non vuole fare del suo dolore: metterlo da parte, o soffocarlo, o addirittura rinunciarvi.[60]

Freud considera tale disinteresse verso il mondo come un sintomo di un più grande sentimento, la malinconia, che, come ‘il normale affetto del lutto’ è caratterizzato da un grave ‘scostamento’ rispetto al modo di rapportarsi con il mondo; scrive lo psicanalista:

la malinconia è psichicamente caratterizzata da un profondo e doloroso scoramento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoingiurie e culmina nell’attesa delirante di una punizione[61].

Il mutamento della condizione psicologica a seguito della perdita di Thomas genera in Leo uno stato patologico, dominato dal sentimento di un più grande abbandono, non solo rispetto al mondo, ma anche del sé. Tale sentimento coincide con la malinconia: il lutto dell’amato diventa, per estensione, il lutto del sé: «nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella melanconia impoverito e svuotato è l’Io stesso»[62]. In Camere separate, l’introiezione dell’oggetto amoroso perduto, Thomas, all’interno di Leo, è per Freud un meccanismo fondamentale di difesa, mentre per Barthes una via d’uscita. Barthes, in particolare, identifica con questo concetto la volontà del soggetto di immaginare varie soluzioni alla crisi amorosa che, nonostante il loro carattere catastrofico, gli danno la sensazione di pace. Pensando ad una via d’uscita dolorosa Leo vede dentro di sé una possibile soluzione, l’abnegazione: rinuncia al sé, all’interesse per il mondo, all’amore, al proprio corpo. Ma l’ascesi, non è solo fine a sé stessa; in essa c’è una componente egoistica che cerca di trovare compassione nella figura di Thomas. Leo, infatti, si sorprende più volte per strada a dirsi «Non vedi anche tu, Thomas l’orrore?»[63], come se, mettendo di fronte all’amato la figura della propria desolazione, egli potesse liberarsene. Scrive Barthes: «l’ascesi (la velleità d’ascesi) è rivolta all’altro: voltati, guardami, renditi conto di cosa stai facendo di me. È un ricatto morale»[64].

Successivamente, un viaggio a Washington conduce Leo da questo stato di apatia alla mortificazione dell’io, attraverso un’esperienza di sesso estremo consumato con uno spogliarellista di uno strip-bar. La sensazione di freddo e di paura che accompagnano il rapporto fanno sfumare il ricordo di Leo in quello di un’operazione chirurgica, a richiamare quella necessità di estirpare il male che lo stava distruggendo da dentro. La sottomissione volontaria al rapporto, durante il quale Leo afferma di aver avuto una «diretta, accecante esperienza del sé»[65], permette di configurarlo come un rito di passaggio[66], al termine del quale Leo rinasce bambino.[67]

Respira affannosamente, come un bambino dopo una lunga corsa. Non riesce a parlare, scoppia a piangere, un misto di singulti, lacrime, colpi di tosse e quando risponde, con un filo di voce, al ragazzo dicendogli che va tutto bene lo fa balbettando, con una voce che non avrebbe mai pensato di avere: quella del bambino-Leo. Una voce stridula, acuta, femminile, un vagito sepolto nel profondo del suo dolore e che il dolore ha messo di nuovo al mondo.[68]

La visione di sé bambino avviene, in un luogo tutt’altro che innocente, attraverso l’esperienza del corpo, e della sua mortificazione. Tale esperienza ha ancora a che fare con quella della soglia, rappresentata in precedenza dal corpo di Thomas: entrambe infatti identificano un limite, un punto estremo, «in cui qualcosa non tanto finisce quanto tende a ricominciare: la soglia è la sorgente»[69]. Essa permette uno sguardo differente, che parte dal basso, dall’abisso dell’interiorità di Leo, per poi risalire verso la comprensione di sé.


[1] P. V. Tondelli, Biglietti agli amici, Bologna, Baskerville, 1986, ora in Opere I, Nona ora della notte, biglietto n. 9.

[2] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 110.

[3] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 989.

[4] Ibidem,  p.166.

[5] Scrive Barthes: «Più l’altro mi mostra i segni della sua occupazione, della sua indifferenza (della mia assenza), più io sono sicuro di sorprenderlo, come se, per innamorarmi, avessi bisogno di […] operare la sorpresa (io sorprendo l’altro e, proprio per questo, l’altro sorprende me: io non mi aspettavo di sorprenderlo)». Ibidem.

[6] Ibidem, p. 38.

[7] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p.  922.

[8] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 112.

[9] Ibidem, p. 199.

[10] Ibidem, p. 199.

[11] Idem.

[12] Idem.

[13] Uno dei punti cardine del confronto fra le due visuali dell’amore, quella di Thomas, e quella di Leo, si appoggia proprio sulla differenza d’età degli amanti; Thomas, poco più che ventenne è ancora immerso in quell’entusiasmo per la vita che era tipico della gioventù di Altri libertini: incerto e speranzoso insieme di fronte al futuro, morbosamente attaccato all’altro, egli è staccato dal divenire di Leo, ormai proiettato verso quell’acquisizione dell’identità tipico dell’età matura. Scrive così Tondelli: «Per tutto quel breve periodo Leo si era sforzato di assestare il rapporto in funzione di Thomas. Lo aveva coinvolto nella propria vita, lo aveva rincuorato, protetto, lo aveva trattenuto dagli eccessi, spronato nei momenti di dubbio» E ancora:«Per tutti quei mesi il loro rapporto era stato impostato da Leo. Thomas ci metteva la volontà, ma era Leo che aveva la sensazione di reggerlo e, eventualmente, di potersene sbarazzare quando e come avesse voluto». Ibidem,  pp. 963, 964.

[14] Ibidem, p. 32. Scrive ancora Tondelli a proposito di Leo: «sapeva che il motivo più profondo della sua angoscia era il fatto di aver visto Thomas, la persona che più amava nella sua vita, incapace di vivere da solo, di continuare in modo autonomo. Lo vedeva debole, bisognoso di qualcuno a cui appoggiarsi. Lo vedeva irrisolto, forse ancora troppo giovane. Un raggio di sole e via, sbracati su una sedia senza camicia, a bere e dormire. Tutto molto facile». Ibidem, p. 126.

[15] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 13.

[16] P.V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 967.

[17]«Ma la vicenda esistenziale di Leo è inconcepibile senza quella dell’altro che di volta in volta è Michael, Hermann, Thomas o Rodolfo, e che, insomma, è quella del collettivo a partire da cui la propria identità postmoderna non può che riconoscersi e costruirsi». E. Minardi, Lo spazio autobiografico nell’opera narrativa di P.V. Tondelli, Atti del secondo seminario Tondelli, Correggio, 13-14 dicembre 2002, p. 3.

[18] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 31.

[19] Ibidem, p.  940.

[20] «L’idea di non poter ottenere consenso e legittimazione da parte della società suggerisce a Leo un profondo senso di esclusione; questa sembra impedire al rapporto tra i due un ingresso nel mondo degli adulti, confinandolo in un’allegra e irresponsabile adolescenza, che assume il claustrofobico aspetto di “unica realtà possibile”. Leo lamenta la mancanza di un ruolo codificato, necessario per essere compreso e rispettato, in un contesto che interpreta invece la sua relazione omosessuale come un’anomalia da respingere». E. Buia, Verso casa, cit., p. 30.

[21] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 962.

[22] Lo sfogo di Leo continua così a marcare l’apprensione nei confronti di un mondo incapace di soddisfarlo: «Non sarebbero diventati, nel corso dl tempo, due androidi isterici, sempre sul punto di beccarsi nella conversazione, con quella pelle del viso un po’ troppo lucida e tirata e abbronzata e i capelli sempre un po’ troppo perfetti da nascondere, al millimetro, una calvizie? Sarebbero riusciti ad accettare, dignitosamente, virilmente, l’invecchiamento non solo del proprio corpo, ma del proprio sogno e quindi del proprio amore?». P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 1067.

[23] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 188.

[24] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 966. E scrive ancora Tondelli, a proposito di Leo: «sapeva che il motivo più profondo della sua angoscia era il fatto di aver visto Thomas, la persona che più amava nella sua vita, incapace di vivere da solo, di continuare in modo autonomo. Lo vedeva debole, bisognoso di qualcuno a cui appoggiarsi. Lo vedeva irrisolto, forse ancora troppo giovane. Un raggio di sole e via, sbracati su una sedia senza camicia, a bere e dormire. Tutto molto facile». Ibidem, p. 1023.

[25] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 964.

[26] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 134.

[27] A. Caruso, La separazione degli amanti, Torino, Einaudi, 1988, p. 23.

[28] Barthes direbbe che la maggior parte delle ferite d’amore sono procurate dagli stereotipi, per cui il soggetto è costretto a fare l’innamorato (provare gelosia, frustrazione); quando invece la relazione è atopos, i preconcetti vengono superati, non avendo più motivo d’esistere in un rapporto senza luogo e tempo: «indovino che la vera originalità non è né in me né nell’altro, ma nella nostra stessa relazione»

[29] P. V. Tondelli, Pier a gennaio, in L’abbandono, cit., p.749.

[30] Idem.

[31] Afferma Tondelli in una conversazione con Stefano Tonchi: «Il mio ideale è essere uno di quei personaggi senza più una lingua né una patria. Uno spaesamento totale senza radici. Essere uno di questi cosmopoliti senza legami». F. Panzeri, G. Picone, Tondelli. Il mestiere di scrittore, cit., p. 946.

[32] Una situazione parallela è riscontrabile in Pier a gennaio: «Pier sta cercando di imparare che l’altro è un “totalmente altro”, anche se questa mia espressione, ai suoi occhi potrebbe mostrare la corda, confondendo ancora una volta il suo bisogno di assoluto. Non so quale fosse allora l’espressione linguistica che Pier avesse trovato per rimettere sui binari giusti la propria vita. Ricordo però un’immagine, e questa immagine è racchiusa in due parole: ‘Camere separate’. Pier vuole una separazione in contiguità e per farlo non ha trovato di meglio che piazzare fra i due letti millecinquecento chilometri di distanza». P. V. Tondelli, Pier a gennaio in L’abbandono, cit., p. 749.

[33] Nonostante il libro tratti della separazione tra amanti viventi, Caruso evidenzia già nel sottotitolo del suo lavoro, ‘Fenomenologia della morte’, come in realtà qualsiasi separazione sia un’esperienza di morte. Scrive Tondelli nell’articolo ‘Amare vuol dire lasciarsi’ dedicato allo psicanalista: «La separazione è un’esperienza di morte. Non muore solo l’altro che si allontana, ma si assiste alla propria morte nel cuore della persona amata. […] Pur facendo ricorso alle teorie dell’elaborazione del lutto, qui non si parla di un individuo che muore biologicamente». P. V. Tondelli, Fenomenologia dell’abbandono in P.V. Tondelli,  Opere II, p. 807.

[34] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 205.

[35] Ibidem, pp. 34, 35.

[36] Ibidem, p. 27.

[37] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 980.

[38] Ibidem, p. 970. Scrive Tondelli nell’articolo Viaggiatore solitario contenuto in Un weekend postmoderno: «sono partito perché mi sentivo un essere che nascondeva dentro di sé una perdita, una scomparsa nella quale si rispecchiava il proprio, personale, annientamento. Volevo vivere, essere in mezzo agli altri, ma come attraverso un letargo invisibile. Comunque sono partito, di notte, in treno, verso il nord». P.V. Tondelli, Geografia letteraria, in Un weekend postmoderno. Cronache degli anni ottanta, Milano, Bompiani, 1990, pp. 350, 351.

[39] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 173.

[40] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 203.

[41] A. Caruso, La separazione degli amanti, Torino, Einaudi, 1988, p. 23.

[42] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., pp. 917.

[43] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 70.

[44] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 193

[45] Ibidem.

[46] La morte violenta è uno dei possibili epiloghi della ‘fenomenologia dell’abbandono’; in Rimini Tondelli descrive il ‘dramma’ sentimentale dello scrittore alcolizzato Bruno May, che vive in maniera totalizzante il proprio amore per Aelred. La spirale autodistruttiva che conduce il personaggio ad un omicidio-suicidio ricorda, in Camere Separate, quella di Hermann, compagno di Leo prima di Thomas. Scrive Tondelli:  «questo mito, inseguito per anni nell’ignavia della vita provinciale, anche in Leo stava esplodendo con una furia che mai si sarebbe aspettata. Erano solamente due ragazzi che correvano incontro all’annientamento con una determinazione che non ammetteva ostacoli. Erano due bellezze che godevano nell’essere offese e violentate poiché entrambi ritenevano che il mondo non li meritasse e che nessuno potesse essere in grado di capire le loro qualità. Erano in guerra contro i valori della società e contro la normalità. Erano ribelli e si sentivano diversi. La loro relazione era precisamente una guerra separata». P.V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 1002. Il ricordo della relazione offre a Tondelli anche l’occasione di un riepilogo del mito dell’autodistruzione, affrontato successivamente anche nell’articolo dedicato ad Andrea Pazienza in un Weekend postmoderno. Scrive ancora Tondelli in Camere Separate: «In realtà, come l’inesorabile scorrere degli anni avrebbe dimostrato, erano solamente due ragazzi avvolti in una pazzia che avrebbe, uno dopo l’altro, cancellato dalla faccia della terra i loro amici e quella che credevano la parte più brillante della propria generazione. Anno dopo anno avrebbero visto morire i loro coetanei di ventisette, ventotto, trenta, trentadue anni. Per overdose, per delirio alcolico, per infarto, per collasso, per assassinio. E quando la vita sembrava aver preso definitivamente il sopravvento con matrimoni, carriere ben avviate, lavoro di successo ecco che il passato tornava inesorabilmente, un giorno, una notte, durante un viaggio, a colpire fatalmente come l’esito di una colpa non condonata». Un weekend postmoderno. Cronache degli anni ottanta, Milano, Bompiani, 1990, p. 1003.

[47] Ibidem, p. 194.

[48] Ibidem.

[49] Ibidem, p. 986.

[50] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 46.

[51] P. Handke, Il cinese del dolore, Milano, Garzanti, 2005, p. 79.

[52] P.V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 989.

[53] Ibidem, 969, 970.

[54] Ibidem, p. 986.

[55] Ibidem, p. 96. Il dolore perde i propri connotati negativi e acquisisce significati catartici: la stessa morte di Thomas diviene il seme di una nuova vita: «In questo senso Thomas non è solo un cadavere che si sente incollato addosso, ma un seme di vita sepolto nella propria mortalità. Lui culla, nel profondo, questo seme, lo scalda, assiste alla sua crescita cercando di crescere con lui. Poiché Thomas nelle sue complicate introiezioni e rimozioni è ormai l’illuminato, il trapassato». Ibidem, p. 995. Scrive Buia: «Il corpo interpreta e materializza il cammino esistenziale del protagonista. La scrittura, tramite vivide immagini, dà voce ad una poetica intrisa di fisicità, ma sempre aspirante a un superamento della finitezza umana: l’approdo al metafisico, in Tondelli, trova origine nella tensione espressa da una corporeità estremizzata». E. Buia, Verso casa. Viaggio nella narrativa di Pier Vittorio Tondelli, Ravenna, Fernandel, 1999, p. 12.

[56] P.V. Tondelli, Camere separate, cit. , p. 977.

[57] Ibidem, p. 986.

[58] Ibidem, p. 989.

[59] Ibidem, p. 1082. «Osserva, come sempre, da un angolo, seduto su uno sgabello se ha la fortuna di trovarne uno libero. Ogni tanto incontra lo sguardo di un altro. Distoglie immediatamente gli occhi. Al bambino-Leo non piace essere oggetto di attrazione e di curiosità». Ibidem, p. 988.

[60] Ibidem, p. 28. Il tema della chiusura e dell’abbandono sono motivo conduttore anche nell’opera di Strauss. Quest’opera è un soliloquio di un uomo abbandonato dalla moglie durante un’estate berlinese; significativa risulta anche la scelta della città che, come scrive Tondelli nel Weekend postmoderno, «ti mette spietatamente, e nello stesso istante, di fronte a te stesso e di fronte alla follia degli uomini, della guerra, delle divisioni e degli schieramenti politici». P.V. Tondelli, Viaggi, in Un weekend postmoderno, cit., p. 373.

[61] S. Freud, Lutto e malinconia, cit., p. 103. Scrive ancora Freud a proposito del lutto che esso «presenta -ad eccezione di una- le medesime caratteristiche (della malinconia); nel lutto non compare il disturbo del sentimento di sé, ma per il resto il quadro è lo stesso. Il lutto profondo, ossia la reazione alla perdita di una persona amata, implica lo stesso doloroso stato d’animo, la perdita d’interesse per il mondo esterno -fintantoché esso non richiama alla memoria colui che non c’è più-, la perdita della capacità di scegliere un qualsiasi nuovo oggetto d’amore (che significherebbe rimpiazzare il caro defunto), l’avversione per ogni attività che non si ponga in rapporto con la sua memoria». Ibidem.

[62] Ibidem, p. 104.

[63] P.V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 980.

[64] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 32.

[65] P.V. Tondelli, Camere separate, cit. , p. 1051.

[66] V. Turner, Il processo rituale. Struttura e anti-struttura, Brescia, Morcelliana, 1972.

[67] Come nota Luigi Levrini «la descrizione di questo rito riporta a quella che concludeva il primo movimento, con la discesa al fiume e l’esperienza legata all’assunzione delle droghe, dove il giovane Leo era visto nel momento di passaggio fra la fanciullezza e la prima giovinezza». L. Levrini, Il tramando emiliano nell’opera di Tondelli, Rimini, Guaraldi, 2007, p. 29.

[68] P.V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 1054.

[69] F. Panzeri, G. Picone, Tondelli. Il mestiere di scrittore, Massa, Transeuropa, 1994, p. 811.

1 Responses to Pagine da ricordare: “Leggere Tondelli attraverso Barthes, leggere il mondo attraverso Tondelli” (Anna Remelli)

  1. Carlo ha detto:

    Buonasera,
    complimenti vivissimi per l’articolo, un’analisi puntuale e un grande senso di orientamento in due opere, quella di Barthes soprattutto, molto dispersive.
    Sono capitato per caso in questa pagina in quanto sto conducendo una ricerca sullo stesso argomento.
    Mi farebbe molto piacere entrare in contatto con lei e poter discutere, privatamente, di alcuni aspetti della sua ricerca.
    Ho inserito il mio indirizzo di posta elettronica nei riquadri soprastanti, spero che lei possa avervi accesso e possa rispondermi.
    La ringrazio e le rinnovo i complimenti,
    cordialmente,

    cb

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