L’odore amaro delle felci di Giulio Maffii (Premio Sandro Penna inediti 2011)

Autore: Albertomos

Per gentile concessione dell’Autore, proponiamo in anteprima alcuni testi tratti dalla raccolta L’odore amaro delle felcidi Giulio Maffii, vincitrice della XXIII edizione del premio “Sandro Penna”, sezione inediti.

Nel titolo della silloge di Giulio Maffii (L’odore amaro delle felci) riecheggia la sinestesia pascoliana della prima quartina di Novembre, “l’odorino amaro senti nel cuore” e il riferimento al poeta di San Mauro non è affatto casuale. La teoria del “particolare” pascoliano, insieme con quella montaliana dell’ “oggetto”, rivivono nell’elegante trama di questa raccolta di versi. Anche parte del lessico arriva a Maffii attraverso la lente pascoliana e l’aspro disincanto montaliano, ma ciò che fa di questa raccolta un lavoro decisamente innovativo è un ritmo fluido, incalzante, a volte sincopato, raramente aspro e pausato. In questo ritmo risiede il fascino di questa poesia decisamente post-montaliana, allineata ai tempi odierni, tutta giocata tra disincanto e tentativo di non perdere le coordinate di un’esistenza che si sente spesso anonima e svilita (Non sono il migliore / non sono il peggiore / siamo tutti minimi / tra vento e tremore / io tu gli anonimi).
Non è certo di coscienza che manca L’odore amaro delle felci, nasce anzi da una precisa constatazione della realtà, filtrata dai versi straordinari di Margherita Guidacci – ai cui versi Maffii lascia l’apertura dell’opera -, dalla certezza di essere circondati dai Telchini (demoni che avevano dimora a Rodi prima del diluvio e che, presentendo l’arrivo del cataclisma, si allontanarono dall’isola greca per disperdersi nel mondo). I telchini erano inventori, artisti e maghi che avevano una potenza malefica nello sguardo, avevano il potere di controllare la pioggia e di mutare a piacere il proprio aspetto. Ma il loro controllo del pianeta non sarà mai completo, afferma Maffii: “Mi salvo lontano dalla gloria / delle cose effimere / mi salvo nella storia / delle piccole cose”.
Sono dunque i Telchini i consapevoli distruttori di ogni palpito del sentire umano ma possono essere evitato dalla profonda, anche se apparentemente minima, coscienza di vivere.

e.c

da: L’odore amaro delle felci di Giulio Maffii

ASCOLTANDO LE LORO INFORMI

Ascoltando le loro informi parole
scopro quanto è umano
un  monotono rumore
il ronzio e poi il fruscio
delle pagine delle cose
lasciate sole in qualche maceria
tra memoria e memoria
Il lato fragile di una mente aperta
così diceva Berta la maestra
non si avvede della tormenta
del veleno che ti serra le vene
Non sono il migliore
non sono il peggiore
siamo tutti minimi
tra vento e tremore
io tu gli anonimi

NEL TELAIO DEI RITI

Nel telaio dei riti quotidiani
passano  cani a strappi e padroni
si chiudono portoni
in queste vie d`esilio
I giorni i solchi gli abiti d`organza
il cuore è una danza che non ha
mai ucciso nessuno in poco tempo
lo sciame dei discorsi
si perde dentro gli attimi
nelle scelte dei tessuti
fare disfare
disseminare accumuli di poco
sgretolati i loro opachi sguardi
E` tardi?
Qualche volta è tardi
c`è polvere nel telaio
gemme  pulviscolo
eppure c`è un` altra via
nel suo ordito
all`esterno del formicaio

FITTISSIMA NEBBIA

Fittissima nebbia
qualcuno la dimentica nel bicchiere
mai squarciata dal raggio di bellezza
S`intromettono furtivi
nelle pieghe del sonno
Passano accanto con i volti senza luce
dell`inverno cittadino
“Aspettami scrivo solo poche righe
il nostro tempo è tutto qui”
Non credere a questa velocità
o alle rughe che non ho
lasciato sopra qualche comodino
Non credere ai lamenti sospirosi
a chi si cinge d`alloro per la via
I vicoli ciechi esauriscono l`aria in fretta
Perdona loro anche se sanno
quello che fanno
perdona se riesci a sopportare
perdona te stesso
la mancanza del silenzio
London Bridge is falling down
mai una volta che davvero
mai una volta che

IL MONDO IN TANTA PARTE

Il mondo in tanta parte telchino
non lo sarà mai del tutto
una specie di lutto
in chi si crede grande
e porta in sé la sua rovina
così mi addentro
nella via di fuga
il gioco il tempo il ritmo delle foglie
lasciano semi d`ansia
radici sotterranee
Mi salvo lontano dalla gloria
delle cose effimere
mi salvo nella storia
delle cose piccole

NELLA COLZA

A volte contano solo le tregue
le pause da trincea
tra il pieno e il vuoto
A volte contano solo i fili
la panacea che non vediamo
la polvere che s`accatasta
attraverso gli abiti e le povere
abilità del parolaio saltimbanco
Sgoccia tra le nubi e gli occhi
nella colza che schiaccia
il brontolio di una nuova danza
Nel centro della lessora s`appiccica
quello che non sai di avere perso
un passo verso il grimorio aperto
un taglio inferto alla tua burbanza

DISTENSIONE

Come vedi non sono più bambino
non ritrarre la punta delle dita
che fatica farsi accogliere
adesso qui non dopo
recidere la mica sbriciolata
l`alone esausto delle spalle
leggo ti leggo rileggo
sulle labbra proprio quelle
che si esprimono a gesti
tutto si arena nei fondali
nei barbazzali piantati nella gola
s`invola questo o qualcos`altro
cosa credi cosa vuoi da me
quale regola dobbiamo infrangere
per esplodere in questo mondo
Tu che rasenti l`asola nel fondo
delle cose e delle lontananze
raccogli quel poco dalle circostanze
Quanto dobbiamo pagare ancora
quanto scotto nel respirare giorno
a giorno nel tuo nel mio girone
cosa vuoi cosa cerchi in me
ho solo debiti aperti
e qualche goccia d`arsura
ora qui non dopo
qualcosa di simile a un confine
o questo millimetro di pelle
o forse meno
un ex voto appeso in forma umana
Mi chiedo chiediti
se è questo o qualcos`altro
Mi tormenta pure la quiete

FIORITURE

L`insazietà del tempo
neanche piantare un quadro
so fare altre cose
agganciare le illusive disparità
nel cerchio che si chiude
le attese le esperienze accese
quale direzione prende
questo silenzio inappellabile
e tu oggi ieri forse mai
insegui lo squarcio
lungo la fragilità d`ombra
che l`amore nasconde nel suo interno
Il senso dell`equivoco
ci inonda senza forma
perché la luce filtra
tra il vetro e il vuoto
si stampa dove la parola
si arresta e non giunge
e il muro cede
poiché non so piantare un quadro
poiché la croce non ha spazio
per altri chiodi e tace
Qualcuno alle mie spalle
o forse il suo plagio
si chiede quello che avrebbe fatto
ma anche ciò che è stato
non cambia incunaboli o l`adagio
Il passato non ha  occasioni
né oboli da offrire
è  soltanto un calicanto
nel giardino di gennaio

CONFESSIONE

A filo a raso si scompigliano
le andature il flusso delle cinque
Una stagione di transito
e pesi e misure nuove
L`amore è un istante di universo
che trafigge i nostri corpi nudi
trasuda nei muri delle stanze
si disgrega e poi si ricompone
nel lato lucente del respiro
In questo nulla in cui troppo accade
questo ho detto
questo avevo da dire
altri macigni adesso non ho

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