Percorso d’Autore: Luca Ariano

Nato a Mortara (PV), Luca Ariano vive ora a Parma. Ha pubblicato la raccolta di poesie Bagliori crepuscolari nel buio nel 1999. Numerose sue poesie sono apparse su riviste, blog e siti letterari su internet. Collabora con le riviste «ALI», «clanDestino», «La Barriera». Nel 2005 è uscita una sua plaquette ne La coda della galassia (Fara) e la sua seconda raccolta di poesie Bitume d’intorno (Edizioni del Bradipo), con la prefazione di Gian Ruggero Manzoni, per le Edizioni del Bradipo di Lugo di Romagna. Con Enrico Cerquiglini ha curato per Campanotto l’antologia Vicino alle nubi sulla montagna crollata (2008). Fa parte dello staff della casa editrice Kolibris. Nel 2009 una parte della sua plaquette Contratto a termine è stata pubblicata ne La borsa del viandante curata da Chiara De Luca (Fara). Sempre nel 2009 ha curato con Luca Paci l’antologia Pro/Testo (Fara). Nel 2010 per le edizioni Farepoesia di Pavia è uscita la plaquette Contratto a termine con una nota di Francesco Marotta.

 

Luca Ariano

Stanze della memoria

una scelta poetica

da Bitume d’intorno

a Paolo Donati


Danton – col suo nome ‘rivoluzionario’ –

spogliata la divisa sale

su quei pendii:

alle spalle un crepuscolo

che s’inzuppa nell’acqua

sospinto da un alito di salso.

Spari lungo gli argini tra fango e pidocchi:

Scarpe rotte a conquistare

la rossa primavera!”.

Il trillo di una fisarmonica

su di un carro non placa l’urlo

di una donna che stringe il suo grembo

allontanandosi allo sbuffo

di un treno nella burrasca.

‘Pussi’ oltre le sbarre segate

si tuffa tra i gelidi spruzzi del Tanaro

schiumati dalle raffiche.

Gettato il mitra oltre la scarpata

già coglie il profumo

di un pugno di fiori e palpebre

socchiuse poi sorride

dietro un esile sguardo di baffi.

Pensa: anche questa volta è andata.

Passeggiare per le strade di Lomellina

 

Passeggiare per le strade di Lomellina,

nel silenzio di paesi

– carrellata d’un western-risotto –

rotto dal gorgoglio di chiuse

che lavano i campi.

Si scava nelle stanze della memoria

per ritrovare fattori e braccianti

con zigomi spezzati dalle bestemmie

e sotto le unghie ancora la terra:

non vi sono solo filari di pioppi

e gelsi ma rami, ormai incarogniti

dalle stagioni di falò per la notte

o zolle, sotto uno stormo di corvi.

Davanti a un sagrato una beghina

raccoglie una siringa ancora calda:

il viso d’un bambino ignaro

del timore di Dio;

la piazza è un salotto televisivo

e non rimane che osservare

la madre che coltiva i suoi fiori

al balcone,

nuove stelle sotto una notte di carne

o quel sorriso incrociato per strada.

 

Òi Barbaròi

nec fas ulterius longas nescire ruinas,

quas mora suspensae moltilicavit opis.”

Rutilio Namaziano

Varcati i limes i ‘barbari’ del denaro

coi loro cavalli fuori serie

che sbuffano gas traversano

sull’asfalto pianure e foreste

per costruire palazzi di cemento

fumanti controvento.

Su scogli o accanto a templi edificano

ville in attesa d’essere condonate dal demanio:

strappando codici s’inginocchiano

davanti a statue d’oro e seduti in poltrona

s’ammaliano per parole d’aria,

cosce bionde o brune, pianeti senza speranza.

Corpi torniti tinti di solarium salpano

in un mare di bronzo dove il cromo

si confonde col tuffo della procellaria.

Sguardi occhiali da sole si voltano a un letto

di cartone, occhi imbalsamati dalla menzogna

tra quelle mani d’ossa in un porto da nababbi.

Campi arsi dove non sbocceranno ranuncoli

e silenti lucciole non illuminano strade

costellate da altari con gli antenati.

Forse non è più l’ora di far l’amore in un vigneto

o snocciolare l’ombra sotto un ulivo

col timore di abbracciare una vecchia

e sentire lo scricchiolio del suo sorriso.

 

I nipotini di Lucio


In quell’osteria

– un po’ fuori tempo – ai bordi

d’un borgo dove correranno camion

carichi di ghiaia e sabbia,

rivedere quei volti che lasciano sempre

patine di ghiaccio sullo sguardo,

brividi nella memoria sulle sponde

del fiume tra sciabordii di costellazioni.

Sul pavimento scivolano scarafaggi

mentre si contemplano monoliti

come esili fili nella nebbia,

gazze in amore volano sfiorando

reti di ciliegi ormai sfioriti,

maturati al sole.

I nipotini di Lucio

si specchiano nella Piazza

elargendo sospiri,

avvinghiati ai loro danè,

vivendo al 25% sbuffando

sorrisi controvento:

quando già i giocatori salutano la curva

tra fischi e plausi si stende in un’ombra

lungo la schiena a inseguire i passi

d’un feretro già scomposto in atomi.

Parole d’un curato di campagna

sentite nell’odore d’incenso,

in un corteo nella luce.

 

Ted


Ted gioca coi suoi versi di lego

componendo castelli

sotto un cielo di vescica di seppia:

una mantide striscia passo di serpe

sulle corde della pelle

rotolando dietro raggi di luna.

A San Giovanni davanti una biella

di tortelli s’attende la notte

rugiadosa che specchia cuori di noci:

crani vuoti conficcati nella terra

rafferma s’eclissano al primo sbatter

di ciglia del mattino.

Mezziuomini danzano in una Terra di Mezzo

contemplando bambine sognate in stagioni

sugli usci, oltre ponti su letti in secca

che ammantano di rena le scarpe.

Brillano le gote d’un santo

sul disco di Piero Ciampi:

fischiettando “Livorno” quando i bar si gonfiano

e scorrono i titoli di coda d’una commedia

di Pietrangeli, foglie d’autunno

tra bianchi camici.

 

Bitume

Nell’antisemitismo si accentua il valore

della tradizione come individuatrice della razza.

La tradizione ebraica è continua espressione

di antiromanità”.

Teresio Olivelli

Tu che già lo sentisti venire (l’autunno)

in quella pizzeria d’oltremare

con le tue mascelle francescane

mentre nell’album delle figurine ancora

si beatifica un altro martire – fascista, partigiano, razzista? –

Sfogliando quel  giornale provinciale

un’altra pagina di “Markette” in quella redazione

di Burgundi: da un blog partire all’assalto

di grandi schermi maritandosi il suo figlioccio.

Perché tu devi pulire la sburra

del tuo godio!” –ululava-

nella notte di cimici nelle lenzuola

e di camicie alla naftalina: dalla strada di nuovo

si sente il gusto del bitume fresco.

Ritornare nell’attesa dei baci sulle panchine

in Via Pietrasana, all’appuntamento all’edicola

del Cairoli ma giù un Costantino della domenica

– col suo cambio shimano – pedala rapido.

Riapre la vecchia corte di vino e tisane

(suoni un po’ fusion) e chiudono caffè coi tavolini

abbandonati ai primi frizzi:

Un cane lupo non è un lupo!”

 

Train de vie

“Gli ebrei sono indubbiamente una razza,

ma non umani.”

Adolf Hitler

“…Come può l’uomo uccidere

un suo fratello…”

Francesco Guccini

 

Caronte Ariano traghetto questo treno

verso un campo di concentramento.

anche oggi combatto la mia battaglia

per il nostro fuhrer,

per la nostra razza e il nostro Reich.

Sibilano le ruote e fari nel buio su binari

pallidi di neve e da quelle ciminiere

salirà il fumo della Soluzione Finale.

Nessuno fermerà questi vagoni carichi

di bestie rantolanti: pianti di bambini e donne

e lamenti di vecchi storpi.

Non è più il tempo dei gitani, di invertiti,

di comunisti e di ebrei assassini di Cristo

avvinghiati alla loro borsa.

Sento il vagito d’un infante ma non è il mio piccolo

che a casa già mi aspetta:

lui sarà figlio di un nuovo Reich,

della razza ariana dominante sul mondo.

Heil Hitler.

27 gennaio 1945

 

 

Elegia al Supermercato


Palazzi comunali dove sventolii

di gonfaloni d’una Lega

– quella contro il Barbarossa –

sono ormai ammainati da un pub

simil anglosassone di birre acquose

senza la meraviglia di stupirsi

per un ammiccamento.

Nella stanza il fumo ha ormai saturato

le tende e i divani del Mercatone

e tra carlone e piccoli “ingenieri”

coi loro sguardi di silicio:

Sta sü da dôs!”

e se viri canale ancora la vacanza

d’un’altra very important person

luccica in quello specchietto.

Cellule s’imputridiscono ad ogni sospiro

e metastasi conquistano organi

sotto occhi cerchiati:

la gola s’ingroppa e le parole si strangolano

tra le corde e le papille

Vuoi un caffè?”

– proprio alla fermata del quattro –

Palazzinari cafoni e cozzari nella smania

di svestirsi davanti a grandi vetrate

zampillano da televendite di prosciutti

a balletti di crociera

prima che faglie righino la carne.

S’abbassano le saracinesche di stagioni

e il verbo s’increspa tra le pieghe

della notte quando il virtuale ormai

ammorba carezze e suoni di labbra.

Meglio aspirare i sapori d’una culina

un po’ stinta d’una casa provvisoria

che impregnarsi nel colore stantio

d’una biblioteca zitella d’antiche carte.

Paiono secoli quei San Prospero di gelo

a pugnalare il respiro infruciati su sedili

in un vicolo

–“Sfaccim i friddo!”-

e contemplare tra scompartimenti un carrello

di Mellin e Plasmon per una madre

che ha occhi solo per quelle guance

rosate in un tramonto troppo presto

scivolato in nero.

 

da Contratto a termine


Trent’anni dopo


L’hai chiamata in quelle torride
sere la pioggia
ed ora è arrivata a scrosciare
sulle strade allagando cantine.
Ti hanno ritrovato quei capelli di lago
sorsi di sorrisi da versare
sulla tazza di petto:
sono tutte belle le donne,
e lo dici – appoggiato
ad una colonna pavese –
deglutendo boccate di fumo
o cavando dal fango ruote impantanate
in un’avida camporella.
Si squaglia il mascara sull’autostrada
e il tuo pezzo di cartone
è ormai buono solo come carta da bagno,
volto da emigrante del ventunesimo secolo.
Trent’anni dopo non puoi non pensare
a quel cuore scoppiato, spappolato fegato
nella cassa schiacciata,
negli istanti fracassati del corsaro
all’Idroscalo di Ostia:
le parole non erano ancora profezie
solo per i ciechi
ogni giorno muore un poeta.

 

Novecento I e II

Quei primi scioperi
– la piazza non era gremita
come nelle storie,
e il tuo pugno chiuso in foto
con l’orologio in evidenza.
Quel manipolo di sbarbati
alla mattina, al pomeriggio
e anche alla sera e poi…
poi il tempo di distrarsi
e il tuo volto non si riconosce più.
Avessi aperto un negozio di scarpe
o un locale trendy – sempre pieno;
il bambino, cocco della mamma,
sempre in palmo di mano ora non sa
a chi gridare, ora che l’eco della casa
rimbomba tira grembiuli altrove.
Lui si allontana in moto,
pare quasi una cartolina anni cinquanta,
col vento di salso che sale dall’autostrada
e tu prepari il tuo viaggio,
il tuo gommoso ritorno in treno.
Atto II

Non c’era quando la strada
s’asfaltava della schiuma oleosa
della pioggia e tu lì in quel tiepido
sole di marzo, per ogni soffio di nube.
Sceso di corsa dalla carrozza
per un biglietto quasi vergato a mano,
a sottolineare la febbre galoppante
delle stagioni.
In questa notte al Pratello Bologna
pare una canzone di Guccini
ma state solo scimmiottando i padri
e certo quei negozi pakistani
non sono osterie da rivoluzioni.
L’emulazione nel delirio collettivo
d’un bagno notturno ma è lo specchio
opaco d’un altro decennio
con ancora l’odore delle bombe sotto gli occhi.
Un vecchio osserva le cosce d’una ragazza
e ritorna ai frettolosi amplessi
tra macerie e sirene quando un bacio
poteva esser l’ultimo prima del calar della polvere.

 

La caccia al cinghiale

ad Antonio

 

Marino te l’aveva detto,
– lì al rinfresco le api
che ronzavano attorno
alle fette di prosciutto,
ma tu dritto
come uno di quei cavalli
nella foto.
È rimasto uno dei tuoi libri
con il frontespizio da dedicare,
una raccolta di Yeats
e alcuni cd masterizzati.
Il rombo della vespa bianca
è restato un modellino
sulla mensola, prima che la polvere
ingrigisca.
Nell’inaspettato tepore settembrino
il gelato è un affresco di fine stagione,
un “magari…chissà”, un “quando o se”
e all’apertura della caccia grufola
il cinghiale e gli spari non li puoi
più sentire.

***

Chiudi in fretta gli scuri
di quel tuo abbaino
prima che la luna
– in una notte senza nebbia,
veda la febbre che ti prende
come un crampo allo stomaco.
L’Elio telefona ogni santa mattina
all’ora di pranzo
– appena buttata la pasta
e spento il sugo asciugato,
e ti tiene un’ ora a raccontarti
di quel nuovo dolorino, dell’esito
negativo della tac… tic nervosi,
della ricetta da farsi fare;
un pomeriggio il telefono muto
fino alle 15: hanno trovato l’Elio
addormentato come un bambino sognante.
Lei usa il cellulare come una terza mano,
sesto dito di polpastrelli consumati
e un sorriso o una parola li getta
nella confusione come un preservativo usato.
In segreto progetta di partire tornando famosa
per essere salutata al caffè in piazza
e stimarsi sulla bocca di tutti:
copione mai scritto di miserie di provincia.

***

Questa notte si balla a ritmo di tango
per dimenticare il nebbiume
di quella città senza neppure un santo,
solo un beato per caso capitato.
“Siamo già maturi!
L’anno prossimo dobbiamo rinnovare
la patente: cosa abbiamo fatto
in questi dieci anni?”
Lo biascica stanco come un vecchio
di trent’anni alla curva del ponte.
In piazza si mormora sempre che la Paola
se la faccia col figlio del notaio,
orgasmo d’un portafoglio gonfio fra le tasche.
Al bar all’angolo l’Andrea ti racconta
di quando si allenava con Baggio e Del Piero
poi…oggi scarica mobili tra scale e ponteggi.
In quella cittadella dello shopping
non ti rimane che bere per non vedere sguardi
assatanati di vetrine, di plastica, tinture
e pelli tirate senza il placido invecchiare
d’un volto grinzoso.

***

Certo che quando l’Emilio iniziò

a tradurre versioni dal latino e dal greco,

a memorizzarsi l’atlante storico

non immaginava certo di star lì a ciondolare

in attesa di una telefonata: si vedeva professore

in qualche Università a decifrare il mistero

della lingua etrusca, a scavare nel Peloponneso

alla ricerca di nuove civiltà.

S’è alzata la via Emilia e la tua casa affonda

nella polvere però val sempre la pena

di vedere cupole e torri struccarsi di rosso

per le luci della sera.

Alla prima ombra  davanti al Tardini

dalla pensione quei vecchi se la contano

su come andrà quest’anno il nuovo Parma

e ogni domenica c’è qualche poltroncina vuota

per un colpo di tosse troppo forte.

Tu c’eri quando Don Leandro e Don Lorenzo

predicavano in un angolo, te li ricordi pregare

anche per te e non sai s’è rimasto almeno

un po’ di marmo s’un muro per Fausto e Iaio.

Quest’anno non hai visto le risaie gonfiarsi

e stai ancora cercando nell’orto le tue farfalle,

le conti e le riconti ma i colori non tornano.

***

Vito ex partigiano – già allora lo chiamavano
il terùn – ha combattuto
nei GAP ma ora vive col respiratore dieci ore al giorno:
non ci sta più con la testa e ti racconta
che lui lì era di casa… quelli sì sono bravi ragazzi
–      non sa di baci e strette di mano cose loro – .
Suo figlio s’è bruciato i polmoni d’Eternit
in trent’anni di cantiere e suo nipote Nino
ti porta in qualche bettola a cenare;
cibi discount – studente fuori sede –
ma poi dal bancomat preleva un’altra serata etilica.
Teresa e fiulin in un caffè un po’ chic
paiono usciti da un romanzo francese;
tra le pareti si respira sapore di moka
e fumo di castagne cotte in padella
–      quella coi buchi che ti ricorda focolari –
e il tramonto su tangenziale tra pali e fili
brilla anche su cupole e campanili.
Arriva il freddo porco a soffiarti la bocca
di tosse e starnuti e il volo d’uccello
è solo l’arrivederci d’un abbraccio.

***

Quelle ferite sui polsi sono forse acido
per i creduloni, per drogare paure
nell’illusione
che le stagioni sono infinite,
di poter ancora vedere il susino in fiore.
Emilio cammina nella casba del Paesone
dove ai tempi di Lucio s’affittava ai giargianesi,
dove le pale del mulino macinavano
farina per pane e polenta;
questa sera magari vedrà l’Enrico che lavora
come un cinese per pagare debiti non suoi
e certo – in quelle notti a studiare
non si immaginava vicoli bui e sporchi.
Ancora si baloccherà per strappare un sì
ad una biondina, per sentire ancora una volta
il profumo del pesco nell’orto.
Teresa quasi si perde nella grande casa
e il rumore del mare è un malinconico sciabordio
perchè la testa già varca i Pirenei
e il sorriso è di luminarie natalizie tutto l’anno.
Silvio – detto Ilgigi – a trent’anni pareva
più vecchio di suo padre settantenne,
forse perché il borgo è demodè
come i suoi maglioni…
“Non fare tardi prima che scenda la nebbia”
è forse solo un uomo di Lomellina.

***

Eserciti s’affrontano ai limes sguarniti:
orde depredano tra burocrati e ministri
da Basso Evo e dal balcone si sente
la canzone dell’eroe del Rione
benedetto la domenica in confessione.
Il tuo naso semita – forse traccia cromosomica
d’un altra epoca – è il passo di braccianti
da masseria a masseria
quando i briganti aspettavano i Piemontesi
al bivio; le tue mani pulite hanno dita
d’artigiano a risuolare scarpe.
Teresa oggi è chiusa in casa con quel tempo
che non sai più che stagione è:
“Mira mira” il battello che costeggia le isole
con gli ultimi spruzzi di sole
ed è tempo di migrar come bufale
a pascolare su discariche.
Accanto alle scuole in via Toscana dell’Eridania
è rimasto solo lo scheletro e siringhe
tra l’erba dove domani si sposeranno.
Una dose la puoi comprare al Parco Ferrari
e t’immagini un’azione della banda Corbari
prima dell’ultima rappresaglia gridando “W l’Italia!”

***

In quella casa Teresa ha trascorso
stagioni – quando hai gli occhi spensierati,
ma le generazioni passano
e delle onde sugli scogli rimane un po’ di sale
a erodere il tempo d’un tuffo.
Fiulin le conosce bene quelle case,
lui che ancora gioca con l’Enrico,
stanotte in riva all’Enza con la gola trepidante
e calzoni stirati dal vento d’una promessa
non ancora mantenuta.
L’Emilio una domenica a Milano senza partite,
nell’imponente silenzio di San Siro
tra cani scodinzolanti e stoviglie della festa,
a svuotare scatoloni come prima d’un ritorno.
L’Andrea voterà socialista – forse per tradizione:
suo padre commosso
a fischiare l’Internazionale
che nemmeno una lira avrebbe preso negli anni Ottanta.
Guido è rimasto comunista per quarant’anni
anche quando suo fratello Paolo
non è più tornato dalle valli
e il Maresciallo Tito era un altro sogno
da riporre in cantina.
Sicuramente lui c’era quando han bruciato
Giordano Bruno: ha filmato tutto
col videofonino e lo puoi scaricare su you tube
ma per le scene piccanti lo trovi su you porn.

2 Responses to Percorso d’Autore: Luca Ariano

  1. Antonio Fiori ha detto:

    Luca l’ho conosciuto a nel 2010 a Fonte Avellana, gentile e attento, m’ha donato copia del suo ‘contratto a termine’.
    Ma ne conoscevo da anni impegno e scrittura, un alternarsi di innesti linguistici, fotogrammi di memoria, spezzoni di storie amare. Nella sua poesia entrano persone in carne ed ossa che imprimono nel verso la loro impronta evocatrice, il segno d’un gesto esemplare o d’una miseria emblematica. Una poesia totalmente ‘abitata’, una originale poesia civile.

  2. Luca Ariano ha detto:

    Ringrazio Enrico per questo ampio spazio concessomi ed Antonio che ho piacevolmente conosciuto a Fonte Avellana. Lo ringrazio per le belle parole sulle mie poesie e il mio percorso.

    Un caro saluto

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