Basta con i comportamenti ”minoritari”

di Sergio Sozi

Questo articolo ha un titolo risoluto perché è un articolo altrettanto netto e deciso. L’argomento di cui parlerò è l’atteggiamento rinunciatario e da ”perdenti” che oggi i letterati troppo spesso hanno nei confronti della difesa dei capisaldi della cultura. Questo articolo, inoltre, dice subito senza incertezze, relativismi o ”correttezza politica”, che le basi della cultura italiana risiedono nelle pagine dei libri e solo secondariamente nelle altre modalità d’espressione: questo perché la parola è la base della nostra civiltà ed essenzialmente costituisce la conquista culturale piú importante dell’uomo sin da quando scese dagli alberi (senza nulla togliere alle altre forme, ovviamente, tutte utili). Ma ciò non basta: questo articolo dice che fra i libri italiani, quelli indispensabili per conoscere se stessi, le proprie origini ed anche per valutare la nuova letteratura, sono i classici antologizzati e trattati nelle Storie della Letteratura italiana (le tante corpose e serie, ovviamente, non quelle fatte di cento paginette).

Ecco. Senza avere nel proprio bagaglio umanistico (ed umano) queste letture ”vergognosamente antologizzate ed ufficialmente riconosciute anche dalla scuola” provenienti dai secoli passati, non si va da nessuna parte, né come lettori, né come cittadini italiani e tanto meno in veste di autori. Senza leggere, valutare, approfondire, ”ascoltare” i classici italiani (intendo i libri che vanno dalle origini della nostra lingua fino a qualche decennio or sono), insomma senza meditare quotidianamente e con pazienza sui classici italiani, si pecca di presunzione e si esce dalla linearità che ogni processo storico-culturale nazionale deve continuare ad avere anche nel secolo da poco iniziato – e si spera anche oltre il secolo XXI, com’è stato per Dante Ariosto e Leopardi, tanto per dirne tre sicuri, ancora oggi amati o odiati ma mai ignorati o considerati ”esauriti”, o meglio ”sorpassati”.

A questo si aggiunga che la maggioranza dei cittadini di altre Nazioni europee possiede una formazione letteraria nazionale migliore della nostra e diciamo anche che la dignità di quei cittadini si vede anche dai politici che eleggono, dalla resistenza che oppongono alla corruzione politica nonché dalla presenza costante delle loro istituzioni statali nella società e nella vita quotidiana: i servizi pubblici efficienti e la vita collettiva educata e tranquilla nascono anche dall’amore e dallo studio dei propri classici letterari e ogni francese, inglese o tedesco che non sia un mezzo scemo questo lo considera ovvio. Solo in Italia lo Stato è un’istituzione priva di centralità e di reale partecipazione popolare, un ente staccato dagli elettori. Ed è cosí perché la stragrande maggioranza degli elettori italiani non legge, non legge i propri classici perché stoltamente considera i lettori dei classici italiani come un’élite di snob e di conservatori, o anche di ”vecchi”, di ”conformisti”. E la mancanza dei classici dalla quotidianità italiana si manifesta appunto con il fatto che tutta la nostra vita pubblica è improntata alla superficialità e agli slogan, non certo basata sull’approfondimento e sulla memoria, sull’elaborazione del vissuto individuale e collettivo. Tale è anche la produzione letteraria, eccetto una manciata di autori.

Ebbene, riguardo alle Lettere, adesso è ora di parlar chiaro: non è vero che un libro pubblicato oggi potrà essere destinato a divenire nel futuro un classico anche se il suo autore non avrà avuto una solida base fondata sulla Storia Letteraria italiana precedente. Questo non è affatto vero: è una menzogna che molti venditori editoriali di fumo ed assieme a loro la gente ignorante e pigra che si scoraggia davanti a tre parole sconosciute dei ”Promessi sposi” ci stanno ripetendo solo per vendere bene i loro libretti destinati all’oblio.

È ora di piantarla con l’elogio del ”contemporaneo come novità assoluta”, cioè del ”genio privo di regole e di riferimenti” che deve avere una completa libertà di espressione letteraria anche se non ha compiuto studi sulla Storia della Letteratura della sua lingua. Chi sia diverso da questi ”geni artistici assoluti” deve dire chiaro e tondo che la genialità non è mai esistita in senso assoluto, innato, autogeno, ma è esistita, e può esistere tutt’ora, solo se, partendo da una innata predisposizione per qualcosa, il ”genio” coltivi le proprie passioni tramite l’approfondimento costante di ciò che esiste in quello specifico campo d’interesse. E ”campo d’interesse” non vuol dire certo che un autore italiano debba conoscere solo la propria letteratura per poter scrivere un libro in italiano, ma che può leggere anche, mettiamo, tutto Dostoevskij, Queneau o Mishima, ma se vuole poi scrivere un libro in italiano, non può fingere di essere un russo, un francese o un giapponese, perché semplicemente è uno scrittore italiano e se non sa la sua lingua letteraria (cioè non conosce la sua gente dunque neanche se stesso), resta una mezza calzetta di scrittore italiano, oppure un semplice imitatore o epigono di uno scrittore straniero, cosí (forse) aggiungerà un dieci per cento di proprio all’autore straniero che ammira. Poca roba. Quindi costui, in queste condizioni, non sarà né un autentico autore italiano né un vero straniero: sarà solo un poveraccio, considerato molto meno dello straniero dai lettori stranieri (che lo leggano un giorno in traduzione o in lingua) e un semplice modaiolo per i lettori intelligenti italiani, ossia per chi non si fa abbindolare dalle mode televisiveggianti degli editori nostrani.

L’autore italiano geniale, invece, che secondo me esiste anche oggi e qui (vedi Camon, Vassalli, Magris, Pazzi, Eco e altri, che ho sentito parlare direttamente e/o che ho letto abbondantemente da anni) è uno che i nostri classici li coltiva bene, senza trascurare gli stranieri, ovviamente. Ma, altrimenti, come pretenderebbero, costoro, credete, di restare nel futuro? Senza sapere l’italiano in Italia? Suvvia… smettiamola di illudere i giovanotti di belle speranze che scrivere in quell’italiano cinematografico sia assicurarsi con un paio di successi momentanei e pompati dai mass-media la memoria futura. Perché non diciamo a chiare lettere ai giovani che se non si mettono a studiare Manzoni e san Francesco verranno eliminati dalla scena mondiale letteraria e disprezzati dalla nazionale ed europea? Non è oramai cosa ovvia che nel secolo XXI (e successivi?) per imporsi a livello transnazionale bisognerà essere fortemente radicati nella propria Nazione, pena l’esclusione da parte degli anglosassoni che non hanno bisogno di loro imitatori da quattro soldi come gli italiani?

Il dopoguerra è finito, cari miei, ricordate: Sordi e Vitti che fanno fortuna con la ”banana americana”, dopo qualche mese finiscono in miseria. Sono dei poveri guitti e gli americani da tali li trattano. Oggi è lo stesso. Uguale il secchio nel quale la letteratura del tipo ”italian cafon” finirà, insieme ad altri analoghi scarti di tutto il mondo. Non ci si illuda di poter continuare a fare quattrini scopiazzando gli americani o altri autori di grido. I tempi son cambiati: se non sei te stesso, nel Duemila ti mandano in pattumiera dopo tre giorni. Lo stesso vale per altri imitatori che si estranino radicalmente dalla storia e dalle condizioni storico-culturali del proprio popolo abbracciando integralmente filosofie e religioni non italiane: ma che vuoi esser buddista o taoista, maoista o liberista, se manco sai da dove vieni tu e non hai letto neanche la Bibbia? Prima sii cosciente di te stesso e della tua Storia, poi arricchisciti di altro che tradizioni millenarie diverse dalla tua hanno generato. Dopo decidi, ma ricordati sempre che le tue radici non le potrai eliminare mai totalmente. Mai. E sappi anche che se ami il tuo popolo, non sarà certo credendoti un missionario straniero in Italia che aiuterai gli italiani a vivere meglio. Potrai fare molto di piú, invece, conoscendo gli aspetti positivi delle tradizioni italiane e su di esse innestando gli elementi stranieri, ma sempre sentendoti un italiano antico. Questo è fondamentale: sentirsi italiani antichi, se si agisce non egoisticamente, per se stessi, ma anche e soprattutto per la propria gente. Perché uno scrittore che scriva solo per se stesso è insopportabile per tutti i lettori, cosí come lo è un uomo che faccia figli solo per paura di morire.

Ebbene, di questa situazione la colpa maggiore va a carico di chi sia un letterato autentico, crediamo. Di chi oggi continua imperterrito a sentirsi una razza in via di estinzione in mezzo ai preponderanti nuovi mezzi di comunicazione e ai relativi fugaci pensierini da scolaretti che ci arrivano come fossero oro colato e grandi saggezze.

Facciamola finita. Questa realtà confusa, ammesso che esista (la globalizzazione dopotutto non è ben definibile in quanto fenomeno attuale) finirà. Il fumo della globalizzazione si disperderà nell’aria. Dopotutto è solo fumo, anche se ci pare solido. Ma sparirà nell’aria come ogni altra moda imperante e violenta è scomparsa. E a sopravvivere dignitosamente a questa illusione di globalizzazione saranno solo le persone dignitose – non dico orgogliose ché il termine non  mi piace – non i letterati nazionali rassegnati che vogliono morire nella gabbia pensando stupidamente di essere condannati dal presente e dal futuro. Se il presente sembra superficialmente una condanna per le Nazioni, il futuro, credetemi, non lo sarà per niente.

 

Sergio Sozi (Lubiana, 9 novembre 2010)

45 Responses to Basta con i comportamenti ”minoritari”

  1. Sergio Sozi ha detto:

    Grazie ad Enrico Cerquiglini e agli altri amici della Ginestra per la pubblicazione di questo scritto polemico. Adesso, se vi va, parliamone: assicuro pronta risposta a tutti.

    Saluti Cordiali da Sergio Sozi

  2. sandrapalombo ha detto:

    Sergio,
    non ti conosco, ma meriti un applauso. Chi ha un minimo di cultura guarda alle belle lettere con rispetto ed ben consapevole che se scrive qualcosa non sarà che un esercizio più o meno ben riuscito, a meno che non abbia tanta passione da decicarsi allo studio e da approfondire l’arte della scrittura.
    ( I Vangeli li ho letti uno dietro l’altro e di seguito quelli apocrifi ed ora sono all’Esodo…e ci vorranno mesi prima di finire tutto il VT)
    Sandra

  3. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Sandra,

    grazie per la condivisione – in nome dei padri ai quali ormai manca la voce: tiriamoli fuori dalla polvere e dagli obblighi e mettiamoli nello scaffale dei ”sacrifici utili e dunque piacevoli”.
    Pertanto facciamo con la Letteratura dei nostri padri ed avi come i contadini che celebrava Cicerone (anche nel De senectute, fra l’altro) facevano con la Madre Terra: essi infatti ben sapevano che la Terra, quando viene amata dall’agricoltore, restituisce il doppio della fatica che l’uomo vi spende arandoli e seminandoli, eccetera.
    Tal e’ la Letteratura italiana dei nostri antenati. Va arata con amore e condivisione o muore nei campi aridi.

    Salutoni cari

    Sergio Sozi

  4. Vi leggo per la prima volta e mi trovo in piena sintonia con l’articolo pubblicato. Scrivo poesia per diletto e devo dire che è vero ciò che asserisci. Oggi, almeno in poesia, se non conosci Bukowski vali meno di zero ma se parli di “canto notturno di unpastore errante nell’Asia” sei antico.
    Ad averne di certe opere.
    Complimenti vi seguirò.

  5. giuseppebarreca ha detto:

    Non posso che applaudire la lucidità e l’intelligenza di questa “pacata” invettiva di Sergio Sozi, di cui nel 2007 lessi una raccolta di racconti, di cui non ricordo il titolo, ahimé, pubblicata credo da V. Casini.
    Ne abbiamo piene le tasche di autori che s’improvvisano e, più si mostrano incapaci di scrivere e “pulp”, più riscuotono successo. Ma così tradiscono la lingua, la letteratura italiana e diseducano i lettori… E ne abbiamo piene le tasche di romanzi riscritti quasi per intero dagli editor…
    La vera arte, sarà un’idea snob, è spesso marginale, ma nutrita di alta cultura…

  6. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Gianluca Corbellini,
    grazie di cuore. Credimi che se la situazione attuale della stima e del rispetto per la Letteratura italiana passata non fosse lo zero assoluto che ora e’ non mi sarei espresso in termini tanto netti e anche un po’ ”radicali”.
    Purtroppo ”a mali estremi, estremi rimedi”, come si suol dire – anzi come si ”soleva” dire, visto che oggi sono caduti in disuso anche i proverbi tradizionali.

    Saluti cari
    Sergio Sozi

  7. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Giuseppe Barreca,
    sono felice di poter per la prima volta colloquiare con l’autore della recensione che apparve sul periodico letterario Inchiostro nel 2007. Il libro che recensisti in quell’occasione era ”Il maniaco e altri racconti” (edito da Valter Casini di Roma, esatto, Giuseppe, ti sei ricordato bene). Poi incontrasti mia moglie Veronika al Salone di Torino, mi sembra lo stesso anno.
    Per venire all’argomento di questo articolo, dico solo che interpretando la narrativa italiana che gira oggi – quasi tutta – si nota in modo evidente soprattutto una cosa: che gli autori sono dei ”post-italiani”, non degli ”italiani antichi” e nemmeno dei semplici ”italiani”.
    Poiche’ nessun autore studia la sintassi e la grammatica (oltre a trascurare la Storia letteraria) gli scrittori organizzano male i tempi verbali, tanto che non si capisce quando un’azione accade, se tre giorni o tre anni prima; infarciscono le narrazioni di parolacce, forestierismi e parole commerciali (marchi di fabbrica) gratuiti e da spot pubblicitario; sviluppano le trame riempiendole di episodi brevi e veloci che non lasciano segno nel cuore e nella mente; tentano continuamente di diventare ”il Kerouak italiano” o ”il Philip Roth italiano” e se non fosse esistito nessuno di quei due non sarebbero di scrivere una riga tirandola fuori semplicemente da se stessi; hanno perduto tutta l’eredita’ poetica, la sensibilita’ umana ed umanistica (in senso storico) degli antenati e ci tengono a farsi vedere cinici, ”tosti”, disillusi e nichilisti… ottenendo solo di mostrare il proprio epigonistico, puro e semplice, mero ”vuoto spirituale”.
    Ma anche questa superficialita’ e trascuratezza, anche questi editor del cavolo prima o poi scompariranno. Come scomparira’ l’energia elettrica – succedera’, anche se, come dicevano i Nomadi ”Noi non ci saremo”…
    abbraccioni
    Sergio Sozi

  8. Sergio Sozi ha detto:

    Erratum
    ove ”non sarebbero di scrivere una riga” leggasi ”non sarebbero in grado di scrivere una riga”.
    Pardon
    Sergio

  9. Renzo Montagnoli ha detto:

    Concordo senz’altro.
    Il problema attuale è che nel mondo dell’apparenza prevale il mediocre e, come tale, essendo incompetente, giunto a una posizione di un certo rilievo, spinto in ciò da chi ritrae dai mediocri le basi del suo imperio, assume l’atteggiamento dell’uomo colto, ovviamente senza esserlo. L’ignoranza chiama l’ignoranza e quindi si perpetua, con il risultato che ci sono una marea di scrittori del niente, imbrattacarte incapaci di seguire un filo logico, ma puntellati l’un con l’altro, insomma una casta vera e propria che tutela in tutti i modi i privilegi, pochi o tanti, di cui fruisce.
    Mi tocca leggere le recensioni, interessate, di libri, osannati in modo sperticato, che poi si rivelano delle colossali panzanate. Ma sono questi libri che vengono pompati e premiati, perchè la pochezza può essere difesa solo aggiungendo altra pochezza.
    Ormai di gente che scrive bene in italiano e che può essere definita portatrice di idee solide e nuove ce n’è poca e i nomi li ha fatti Sergio; forse ne manca qualcuno, ma in ogni caso restano troppo pochi a difendere una letteratura che non è il nulla che invece altri cercano di imporre.

  10. Julius Franzot ha detto:

    Egregio Sozi,
    Concordo in molti punti con la Sua analisi. Per esempio che la cultura non si improvvisa, che le copie sono sempre inferiori all´originale e che le proprie radici culturali sono importanti. Ora, io da “misto” ho anche un altro punto di vista sulla lingua italiana letteraria. La mia impressione e´che oggi ci siano due soli tipi di letteratura: o quella infarcita di classicismi, mitologia e parole inusuali, o appunto quella scopiazzata a scopi commerciali. Tertium non datur. Questa e´forse la ragione principale per cui ho decisao da tanti anni di scrivere in tedesco: non me la sento di fare archeologia quando scrivo e nemmeno di buttare giu´spazzatura. In tedesco e´perfettamente lecito scrivere nella lingua dei quotidiani e, se mi capita di mettere sulla carta qualche espressione “aulica”, i lettori mi fanno cortesemente capire che hanno dovuto prendere il vocabolario. Successo ieri.
    Un cordiale, collegiale saluto!

  11. Pino Licandro ha detto:

    Caro Sergio,
    condivido pienamente la tua analisi del mondo letterario dell’Italia odierna. Anche io sono dell’avviso che, se non si conoscono i classici della letteratura (e, aggiungerei, anche del pensiero filosofico-scientifico), non si potrà mai conseguire una solida formazione morale e intellettuale.
    A parte gli scrittori da te indicati, mi pare ci sia ben poco d’interessante nel panorama culturale italiano. Spesso capita di imbattermi in autori assolutamente sopravvalutati, che scrivono in modo confuso e risultano persino noiosi da leggere (penso per esempio ad Ammaniti, Scarpa, Veronesi), o in scrittori più validi che però hanno perso la verve creativa originaria e sono diventati piuttosto ripetitivi (vedi Baricco, Camilleri, Lucarelli). Anche nell’ambito della saggistica, purtroppo, si assiste ultimamente alla sterile riproposizione di libri che prendono in esame sempre e soltanto la crisi politico-sociale italiana, limitandosi a deprecare lo stato di inerzia e di impotenza in cui versa la cultura di fronte allo strapotere del sistema mediatico berlusconiano, senza fornire indicazioni utili per uscire dall’impasse. In tal senso considero estremamente positiva l’operazione culturale tentata da Eugenio Scalfari con “Per l’alto mare aperto” (di cui ho recentemente scritto una breve recensione su “www.excursus.org”), il quale ha pensato bene di tralasciare la “contemporaneità” per dedicarsi alla riscoperta della modernità letteraria e filosofica, indicando un percorso razionale e critico da cui ripartire per provare a scuotere la nazione.

    Saluti cari
    Pino Licandro

  12. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Renzo Montagnoli,
    gia’… questa e’ l’epoca della mancanza di sentimenti, del nulla: la letteratura che ”non e’ il nulla” di cui parliamo noi, invece, era un insieme armonico di estetica, etica, analisi, conoscenza e soprattutto cuore ed ELEGANZA. Anche l’eleganza e’ ai suoi minimi storico, vero?

  13. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Julius Franzot,

    hai centrato il punto, credo, individuando i due ”schieramenti” contrapposti. Questo succede da sempre, in Italia (classicisti e modernisti, stracittadini e strapaesani, ecc.). Solo che aggiungerei una cosa: mentre i classicisti di oggi sono pochi e spesso scrivono anche in modo rabberciato, i modernitsti – anzi ipostmodernisti oserei dire – son troppi e anche ignorantelli, se mi si concede usar questo termine stricto sensu riguardo alla Storia letteraria…

    Abbraccioni
    Sergio

  14. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Pino Licandro,

    permettimi prima di citarti:
    ”Spesso capita di imbattermi in autori assolutamente sopravvalutati, che scrivono in modo confuso e risultano persino noiosi da leggere (penso per esempio ad Ammaniti, Scarpa, Veronesi), o in scrittori più validi che però hanno perso la verve creativa originaria e sono diventati piuttosto ripetitivi (vedi Baricco, Camilleri, Lucarelli). Anche nell’ambito della saggistica, purtroppo, si assiste ultimamente alla sterile riproposizione di libri che prendono in esame sempre e soltanto la crisi politico-sociale italiana, limitandosi a deprecare lo stato di inerzia e di impotenza in cui versa la cultura di fronte allo strapotere del sistema mediatico berlusconiano, senza fornire indicazioni utili per uscire dall’impasse.”.

    Perfettamente d’accordo.
    L’iniziativa di Scalfari di cui parli, poi, e’ utilissima. Magari potrebbe aver esteso l’argomento al pensiero e all’arte letteraria antichi, ma anche dal 1492 ad oggi mi basta – ah ah ah!

    Abbraccioni
    Sergio

  15. Sergio Sozi ha detto:

    Il dibattito, se volete, continua. Assicuro, come avete visto sin ora, una risposta garantita a tutti e… meglio ancora se si sviluppa un bel dibattito! Dunque ponete domande, lanciate argomenti (retando in tema, ovviamente), criticate, formulate ipotesi ed analisi… forza! Stiamo lavorando insieme – divertendoci – per la creativita’ e la serieta’ della nostra Letteratura!

  16. La cultura fa paura. E tanto. La complessità fa paura in un moldo dominato dalla semplificazione, dalla superficialità, dalla globalizzazione quando non è espansione di orizzonte ma conteggio di contatti su Facebook.
    La letteratura è condensato specchio profezia di una civiltà, della psiche umana, proiezione dei suoi sogni e desideri, registra evoluzioni regressi, imprime su carta la musica cangiante della lingua.
    Viva la letteratura, viva i classici, grazie Sergio perché ce lo ricordi sempre.

  17. Mondo, scusate, non moldo…

  18. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Maria Lucia Riccioli,

    certo, ma e’ estremamente vittimistico e anche un po’ vile se noi, persone alle quali la letteratura non ”fa paura”, non reagiamo a questa (immotivata) paura altrui dicendo a voce normale ma sicura che la letteratura italiana non e’ ne’ vecchia ne’ arretrata rispetto a quella del resto del mondo e che, soprattutto, non fa paura ma crea sensibilita’.

    Saluti cari
    Sergio

  19. sandrapalombo ha detto:

    La cultura fa paura d’accordo, ma è possibile che le grosse case editrici, un tempo tempio e guida per il lettore, si siano abbassate a tanto? Lo sappiamo che ci sono dietro i grossi gruppi di potere politico ed economico, però è triste constatare che là dove viene scelta la “cultura” non ci sia nessuno che si ribelli, non ci sia qualcuno che non lavori solo per il fine commerciale.

    Sandra

  20. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Sandra Palombo,

    provo a risponderti, nel mio piccolo: la decadenza coinvolge per prime le persone piu’ insicure (vedi un esempio fra tutti: Catullo). Facciamoci caso: i fanatici del liberismo e della rivoluzione marxista, i fanatici di ogni tipo sono tutti delle persone insicure. Molte fra queste diventano intellettuali. Questi intellettuali lavorano (anche) nelle case editrici. E dunque vengono fagocitati prestamente dai capi, dalle mode del momento, dagli ”imperativi categorici” del momento. Altrimenti si adeguano anche per necessita’ di tipo lavorativo, per non esser licenziati insomma.
    Ma questo non li giustifica affatto, ai miei occhi, no di certo. Li potrebbe piuttosto – in parte – giustificare l’andazzo intellettivo di tutta la gente, che e’ un andazzo tendente al peggio, alla decadenza e non al miglioramento.
    Eccoci, cara Sandra: se un Paese intero decade, anche le case editrici lo fanno, non sono delle isole felici, no: sono dei posti di lavoro che aspettano solo qualcuno come me e te che dica loro: ”siete dei traditori della Letteratura italiana, io non vi compro’ piu’ i libri, almeno non quelli di un certo tipo”. Se noi stiamo zitti e non esprimiamo i nostri pareri e’ colpa nostra, insomma, non loro, che sono aziende come tutte le altre – ovverosia aziende che fanno quel che i compratori (di libri) comprano.

    Salutoni cari

    Sergio

  21. Alessandro Cascio ha detto:

    Io non la penso come te su molte cose, ma probabilmente questo già lo sai, eppure c’è molto rispetto per te e per come la pensi. Credo sì, che bisogna avere una conoscenza della letteratura in genere, ma si può benissimo essere un buon italiano leggendo Asimov, Kafka, Palhaniuk, Hesse, Eggar, perfino le storie di Nick Cave. Credo che parte importante della vita di ognuno sia l’elaborazione, così come è importante, da parte del lettore, la postelaborazione di un romanzo. Io da sceneggiatore mi nutro di tutto, fumetti, romanzi, cinema, musica, sitcom, perfino gli storymode dei videogames, tutto fa brodo, l’importante che si scelga una direzione e la si porti avanti. Io ho viaggiato molto, le mie conoscenze letterarie riguardano la letteratura di tutto il mondo, per lo più contemporanea (Saramago, la beat, Orwell, McCarthy, Pennac per citarne alcuni), per lo più conoscere la letteratura estera (e l’estero) mi ha insegnato a comprendere la differenza tra l’Italia e il resto del mondo, ad amare (è vero) il passato glorioso di questa nazione, ma a riconoscere la differenza tra patriottismo, civiltà e … qualunque cosa siamo noi oggi. Conosco poco della letteratura italiana classica, nulla dei latini, ma il mio registro comunicativo sin da quando ero bambino non lo ha mai richiesto. Credo che la civiltà di un popolo prescinda dalla cultura che ha scelto per la crescita personale ma non possa mai prescindere dalla cultura.
    Un abbraccio e tanto di cappello ai (da te citati) Promessi Sposi, i personaggi dell’ultimo romanzo consegnato al mio agente sono due tossici Londinesi che chiamano renzo e Lucy. Qualcosa resta sempre Sergio.

  22. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Alessandro Cascio,

    la stima e il rispetto – che sai bene nutro a mia volta per te sia in quanto uomo che come intellettuale nonche’ per alcuni aspetti delle tue opere narrative – ovviamente mi porta ad essere in toto schietto quando discorro in tua compagnia (una compagnia piacevolissima e beneducata, desidero sottolineare).
    Tuttavia credo sia esigenza basilare per l’identita’ culturale di un popolo (in questo caso del nostro) il leggere ed approfondire senza posa i propri classici, i quali oltretutto, sempre restando in Italia, sono preziose fonti di pensiero, di sentimenti, d’intensita’ emotiva nonche’ spesso anche di maestria stilistica e dominio degli strumenti retorici ed espressivi in genere.
    Ed eccoci al cuore del discorso: sono certo che, per un autore italiano di oggi, essere in grado di gestire la lingua letteraria italiana per le proprie esigenze espressivo-letterarie sia indispensabile – e tale dominio si puo’ acquisire ESCLUSIVAMENTE facendo due operazioni quotidianamente e per lungo tempo: leggere (anzi ”studiare”) i classici italiani e consultare due libri essenziali: il dizionario e la grammatica della lingua italiana. Per quali motivi, Alessandro? Anche per quelli che elenchero’ di seguito (sono solo alcuni):

    1) In tal maniera si acquisisce maggior tecnica narrativa e si evitano, per esempio, scarti ed imprecisioni temporali indesiderate nelle narrazioni. Tali problemi si presentano perche’ si sbagliano i tempi verbali – cioe’ si passa da un tempo verbale ad altri in modo errato non facendo capire al lettore la successione temporale delle azioni o dando al lettore delle successioni temporali errate. Studiando la grammatica e gli altri autori italiani piu’ esperti, questo inconveniente – oggi frequentissimo nella narrativa italiana – si puo’ correggere.

    2) Si puo’ contribuire a rendere espliciti e consapevoli – ossia di dominio pubblico – degli aspetti storici del proprio popolo che molti cittadini non conoscono anche se inconsciamente ne sono stati formati dunque agiscono essendone influenzati pur non sapendolo. La letteratura, insomma, deve anche fungere da coscienza morale e storica di un popolo (morale, non moralistica, attenzione!). E questo, se non si conosce la Storia del proprio popolo leggendo le opere scritte da chi i fatti li ha vissuti in prima persona in Italia non e’ possibile, ovviamente.

    3) Acquisire maggiori elementi utili per conoscere chi ci vive accanto – cosa non scontata: spesso ci e’ estraneo piu’ il vicino di casa che non il cinese di Shangay.

    4) Contrapporsi alle mode imperanti – che non si amino o che si considerino dannose per tutti – con efficacia e precisione, in modo tale da non essere accusabili di sciatteria, pressappochismo ed ignoranza del campo in cui si vuole intervenire polemicamente.

    Eccetera, perdonami ma lo spazio qui e’ quello che e’.

    Saluti cari

    Sergio

    P.S.
    Ovviamente parlo in generale, non mi riferisco personalmente a te.

  23. Brunella Bruschi ha detto:

    A Sergio Sozi, 14 novembre 2010

    Caro Sergio (sei parente del Giuliano umbro?), concordo sul fatto che non si possa ignorare la propria letteratura, come la propria storia, di popolo e di individuo, e a ciò che tu affermi con forza, aggiungo che, purtroppo, spesso l’ignoranza investe ben più vasti ambiti anche e soprattutto in persone persuase di voler scrivere e saper scrivere.
    Due esilaranti (se non venisse da piangere) esempi occorsimi di recente in un gruppo che scrive poesia e si propone pubblicamente nella provincia umbra e fuori: una signora, che credo, tra l’altro abbia insegnato, aveva concepito un verso nel seguente modo: “il cielo incombe la terra”.
    Un’altra candidamente dichiarava di aver ricevuto una segnalazione in non so quale truffaldino concorso che aveva pubblicato una penosa antologia di poche pagine (stavolta, per fortuna, dati i testi che annoverava), e mi disse” hanno messo alcune mie poesie in una parte che si chiama Sillòge” (se ci pensi è interessante, perché fa capire come, pur scrivendo, non si prenda neanche in considerazione l’idea di consultare un vocabolario per acquisire un termine cosi implicato nella attività poetica d’ogni epoca, ammesso che sia pensabile che qualcuno, occupandosi di scrittura, lo ignori ).
    Ma anche muovendosi in un contesto di maggior consapevolezza è vero che ci si imbatta più spesso, magari, in citazioni di classici poco contestualizzate e che destano il sospetto di essere state poco comprese, più per dare facili credenziali al proprio lavoro che per aver fatto propria la sostanza di una tradizione che è, e non potrebbe non esserlo, l’humus della nostra formazione e il senso della nostra ricerca, almeno il punto di partenza che le dà impulso.
    Avendo a lungo vissuto nel mondo della scuola, devo, d’altra parte, testimoniare che mi è capitato nei licei di constatare che dei docenti, non necessariamente scrittori, chiedevano di passare dal biennio al triennio per essere obbligati a rileggere continuamente i classici, dovendo attuare un insegnamento sistematico della storia letteraria e della lettura testuale, e non rischiare di perdere quell’immenso patrimonio nella consuetudine invalsa nei bienni di trattare prevalentemente il Novecento.
    Credo, infatti, che tutte le tematiche e le questioni riguardanti l’uomo, le sue arti, la sua storia, la società, la scienza, il pensiero e cosi via, siano cosi fortemente incise nelle pagine letterarie da non poterne prescindere nemmeno per porsi quesiti sull’esistenza concreta, per affrontarla potendosi in qualche modo orientare. Come si può pensare ad una politica fatta di dignità, di lealtà, di etica individuale e collettiva, senza aver letto e meditato Dante? Quale può essere uno sguardo ironico che innervi il verso di malinconiche consapevolezze e insieme di sorriso, un taglio satirico, che mostri tutto ciò che della realtà non appare esplicitamente e induca a pensare, ignorando la compostezza speculativa di Orazio, l’irruenza eversiva di Giovenale, le geniali armonie ariostesche?
    Sono certa che l’amore che mi ha sempre guidato verso la letteratura e lo studio sia un grande patrimonio di sapere e di vita, una possibilità di intraprendere strade non facili e scontate.
    Certo credo altresì valido il paradosso che tutto ciò che si conosce, scrivendo, vada dimenticato, nel senso che debba essere talmente assimilato e posseduto da divenire in noi una linfa di nuova creatività, di pensiero ed espressione autonomi e originali. E questo, a sua volta, indurre, per esempio, una drastica riduzione della tentazione di citare in modo esasperato, che troppe volte mostra una eccessiva disinvoltura nel ricorso ad affermazioni complesse per suffragare pensieri diversi e distanti dalla raffinata elaborazione dei grandi d’ogni tempo, quanto da loro noi cronologicamente. (Pensa alla consueta aurea mediocritas, al labor limae, o all’uso spensierato di termini come “materialismo”, “ermetismo”, “romanticismo”, e cosi via).
    Ma, nondimeno, ad avere il coraggio di non vestire abiti rinunciatari e ambiguamente semplicisti, semplificativi e falsamente umili.
    In conclusione ed anche per contraddirmi subito (perché nulla forse di ciò che diciamo ha valore assoluto) direi con Kant: “Sapere aude”.
    Brunella Bruschi

  24. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Brunella Bruschi,

    si’, Giuliano Sozi e’ mio padre. Ti ringrazio per l’intervento, notando con piacevole stupore quanto a volte, fortunatamente, i miei sentimenti, opinioni e considerazioni letterarie ed umane, trovino compagnia in questa Italia stravolta, frettolosa, solitaria e superficiale.
    Spero che i frequentatori di questo blog leggano con attenzione e partecipazione quanto hai scritto qui sopra. Inutile dirti come e quanto io lo condivida…

    Saluti cari e a presto

    Sergio

  25. Laura Costantini ha detto:

    Scrivi in uno dei tuoi commenti (che non riesco a copiare e incollare qui): poiche’ NESSUN autore cura la sintassi e la grammatica… Un assunto sbagliato, che fa di tutta l’erba un fascio e che non mi aspetto da te. Anche perche’ (l’importanza delle parole, Sergio, che io e te condividiamo), dire che nessun autore cura etc. etc. vuol dire che li hai letti tutti. E questo non me lo aspetto neanche da te (ti vorrei male). Quello che tu dici e’ in linea di massima condivisibile, ma non direi Italia zero Resto del mondo mille. Conosco troppe persone di altre nazioni che non hanno la benche’ minima idea della loro letteratura classica per accettare il solito gioco al massacro. Ci sono, dappertutto, persone colte e persone meno colte, scrittori preparati e scrittori che non vogliono rifarsi al passato. Ho studiato a livello universitario la letteratura italiana, adoro Leopardi, tutto. Ma continuo a non sopportare “I promessi sposi” e la retorica manzoniana. Quindi di “quel ramo del lago di Como” non troverai traccia nei miei scritti (se e quando avrai voglia e tempo di leggerli). Ma il loro valore, posto che ne abbiano, travalica la derivazione dal primo vero romanziere italiano. Lasciar sedimentare le radici letterarie, ma con lo sguardo sempre all’orizzonte.

  26. flora restivo ha detto:

    Oh, felice momento! Da quanto tempo aspettavo qualcuno che la cantasse chiara e netta, senza timore di urtare questo o quell’altro personaggio o personaggino. Concordo su tutto! Oggi, è un vero strazio, l’ignoranza la fa da padrona, l’Italiano è solo una pallida ed emaciata parvenza, quasi in via d’estinzione, nella scrittura, nel parlato; non sanno scrivere giornalisti, che sarebbe più giusto chiamare “giornalai”, al soldo di chi meglio paga, scrittorucoli da strapazzo, che spalano milioni, con cosucce tese a lisciare il pelo ai ragazzetti ignoranti, che fanno mercato, non si legge più un classico che è uno, sono fuori moda, obsoleti. Ora occorre essere “trendy” e ai bambini insegnano il linguaggio informatico, ma non i verbi. “Studiare l’inglese! è l’imperativo categorico e il congiuntivo, la consecutio?
    Io scrivo poesie, preferibilmente in dialetto siciliano e anche prosa e mi scontro quasi quotidianamente con la beata ignoranza che la fa da padrone anche in questi ambiti.
    E’ bene che mi fermi, perché rischio di uscire fuori dai gangheri. Ringrazio Sergio Sozi, evviva la chiarezza!
    Giuseppe Barreca, lei è per caso, parente del grande poeta Mazzola Barreca?
    Un saluto a tutti gli intervenuti.
    Flora Restivo

  27. Caro Sergio,
    come sempre spalanchi una porta aperta,infatti condivido il tuo rigore e l’onestà degli intenti, che
    siglano le tue acute riflessioni. Non volermene però se amo gli autori stranieri. Anche loro hanno plasmato la mia mente grezza e nutrito lo spirito e il cuore.Scusa se non mi dilungo quanto vorrei.E considera il mio micro e banale intervento
    un segno affettuoso di radicata stima ed amicizia.
    M. Teresa Santalucia

  28. enricocer ha detto:

    Caro Sergio,
    ho seguito il lungo e molto interessante scambio di riflessioni che il tuo scritto ha suscitato. È inutile dire che su molte cose concordo. Risulterebbe pleonastico, da parte mia, ribadire i punti in cui le nostre posizioni collimano, ritengo utile invece, per alimentare la discussione, altre considerazioni a margine.
    1) Tu parli di Storia della letteratura italiana come se fosse così scontato parlarne al singolare, come se desanctisianamente fosse la storia della coscienza italiana. Io non vedo una Storia della letteratura ma diverse Storie delle letterature che spesso sono anche fortemente in contrasto tra loro, non solo per posizionamento geografico ma anche per il codice linguistico usato. Non credo che la lingua del Boiardo e quella di Dante siano la stessa, come non credo che la lingua del Manzoni – così decantata da diventare codice linguistico nazionale – sia mai stata parlata da qualcuno. È una lingua letteraria nata da un artificio dello scrittore milanese. Del resto, lo stesso Manzoni, per la comunicazione orale usava molto più il milanese o il francese di quanto usasse l’italiano.
    2) L’italiano, come lingua nazionale, è stata una costrizione, utile e necessaria, ma sempre costrizione in una costruzione ottocentesca che cercava di coniugare la lingua letteraria con il parlato fiorentino, ripulito da idiotismi ed espressioni triviali. Dalla scelta di questo ibrido come lingua nazionale sono derivate le letterature della seconda metà dell’Ottocento e del secolo scorso che assunsero caratteri estremamente regionali. Bisogna, credo, ricordare che anche il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, avesse scarsa dimestichezza con la lingua di Dante e con quella del Manzoni.
    3) La costruzione dell’italiano come lingua nazionale è nata quindi a tavolino, seguendo un processo inverso rispetto alle altre lingue nazionali. Il francese, l’inglese e il castigliano, nelle strutture portanti, affondano le loro origini nel medioevo e sono state contemporaneamente lingue parlate e lingue letterarie. L’italiano, o meglio alcune accezioni dell’italiano, è stata invece lingua letteraria ma non lingua parlata o capita nell’intera penisola. Anche sugli strumenti di diffusione della lingua si potrebbero aggiungere molte cose. La lingua italiana si è diffusa sul territorio come lingua dei media – più radio e televisione che giornali o libri – finendo per diventare una lingua assimilata solo nella sua parte necessaria per le funzioni comunicative (informativa, conativa, descrittiva) più che per quelle letterarie. Non dimentichiamoci che l’obbligo scolastico, in Italia, è stato innalzato a 14 anni solo nel 1963!
    4) La lingua italiana è giovane (e antichissima nello stesso tempo) ma è anche sottoposta ad un fuoco incrociato: da una parte è vittima dello strapotere dell’inglese che ha finito per colonizzare interi settori della cultura (economia in primis) e dall’altra della persistenza di lingue locali (specie nel meridione d’Italia e nel settentrione) che rivendicano una propria dignità e il dovuto rispetto. Se a questa situazione aggiungiamo l’indebolimento morfo-sintattico di cui si è fatto promotore (involontario?) il mezzo televisivo, la situazione attuale risulta piuttosto chiara.
    5) Per quanto riguarda la presunta esterofilia del narratore e del poeta italiano, io credo che non sia dovuta soltanto ad una disaffezione ai classici delle nostre tradizioni letterarie ma anche ad una forte reazione alla Letteratura italiana e a come è stata trattata dall’accademia e dalla scuola. La Letteratura italiana viene spesso vista e vissuta come un nido di reazionari smussati in tutti gli aspetti progressivi e originali. Una letteratura di morti per morti o morituri, chiusa ad ogni novità e pronta ad erigere un presunto canone come valore assoluto. Naturalmente questo è un approccio sbagliato ma non privo di motivazioni.
    6) Ritengo che il rapporto con le letterature di altri paesi e continenti non possa che essere proficuo. Il respiro delle idee è ormai planetario, un’oscillazione della borsa di New York provoca dissesti in tutto il mondo, un’idea, degna di questo nome, non si ferma davanti ai confini fittizi degli stati ma si spande a macchia d’olio. Più che assumere le opere di autori stranieri in dosi omeopatiche credo che sia più opportuno leggere opere di valore. Uno scrittore che ha un sano impianto culturale le digerirà e farà suoi gli aspetti che gli potranno essere utili per la struttura del suo pensiero e della sua scrittura. Non era del resto Pirandello un grande ammiratore di Cervantes? E non fu proprio Croce, se non erro, che definì l’opera di Pirandello a metà tra la poesia e un “convulso, inconcludente filosofare”. Non era Pavese, prima di essere il narratore che è stato, un grande estimatore e traduttore della narrativa angloamericana? Possiamo definire Pavese un imitatore di Herman Melville, di Sinclair Lewis o Sherwood Anderson? Inoltre credo che narrativa e poesia si nutrano anche di filosofia. Bisogna rinunciare a questo nutrimento solo perché le maggiori correnti filosofiche, nel secolo scorso, si sono sviluppate in Francia e Germania?

  29. Sergio Sozi ha detto:

    Per il momento ringrazio gli ultimi intervenuti – Laura Costantini, Flora Restivo, M. Teresa Santalucia Scibona ed Enricocer – e prometto di rispondere estesamente a tutti domani sera, scusandomi per la mia assoluta mancanza di tempo di stasera.
    A domani, dunque, cari amici.

    Sergio

  30. flora restivo ha detto:

    Accettate una puntualizzazione? Credo che nessuno che abbia un minimo di cervello, possa pensare di tagliare fuori i grandi della letteratura di altre lingue. Il fatto è che, a meno che uno non sia poliglotta, i suddetti classici, li abbiamo letti o li leggeremo in traduzione. Orbene, se il traduttore non sarà stato padrone dell’italiano, noi non leggeremo mai i passaggi importanti, non avremo mai il vero testo, così come l’autore l’ha formulato, fermi restando gli adeguamenti indispensabili al passaggio da una lingua all’altra.
    Buona giornata a tutti.
    Flora Restivo.

  31. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Flora Restivo,

    certo: la propria lingua e la propria letteratura sono le basi – sia di partenza che di arrivo – di chiunque pubblichi qualcosa di qualsiasi tipo (restando nel campo letterario, ovviamente, ma anche un manuale di algebra necessita di spiegazioni scritte in lingua, a rifletterci bene su). E l’italiano di una traduzione, mettiamo dal tedesco, non può che risentire delle forzature necessarie per riportare al lettore italiano la scrittura e il pensiero dell’autore tedesco. Tali forzature sovente snaturano proprio la lingua di arrivo, sappiamo bene, per restare il piu’ aderenti possibile alla lingua di partenza – in questo caso il tedesco.
    Ergo: non si impara l’italiano dalle traduzioni italiane di testi stranieri ma dai testi italiani, a cui vanno necessariamente affiancati il dizionario e la grammatica. Italiani ambedue.
    Chi non faccia così, io personalmente sarei piuttosto dubbioso nel considerarlo un letterato. Quindi distinguo fra scrittori letterati e scrittori illetterati. Senza offendere nessuno, queste sono le categorie logiche cui non posso rinunciare.

    Saluti cari

    Sergio

    P.S.
    Stasera dopo le ore 21 scriverò le risposte a tutti gli intervenuti che non le hanno ancora ricevute.

  32. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Laura Costantini,

    visto che non ci sei riuscita tu, mi ”autocito”:

    ”Poiche’ nessun autore studia la sintassi e la grammatica (oltre a trascurare la Storia letteraria) gli scrittori organizzano male i tempi verbali, tanto che non si capisce quando un’azione accade, se tre giorni o tre anni prima; infarciscono le narrazioni di parolacce, forestierismi e parole commerciali (marchi di fabbrica) gratuiti e da spot pubblicitario; sviluppano le trame riempiendole di episodi brevi e veloci che non lasciano segno nel cuore e nella mente; tentano continuamente di diventare ”il Kerouak italiano” o ”il Philip Roth italiano” e se non fosse esistito nessuno di quei due non sarebbero in grado di scrivere una riga tirandola fuori semplicemente da se stessi; hanno perduto tutta l’eredita’ poetica, la sensibilita’ umana ed umanistica (in senso storico) degli antenati e ci tengono a farsi vedere cinici, ”tosti”, disillusi e nichilisti… ottenendo solo di mostrare il proprio epigonistico, puro e semplice, mero ”vuoto spirituale”.

    Ti riferivi a questo mio intervento, vero?
    Certo, sono stato violentuccio, lo ammettero’, ma mi sembrava ovvio che si trattasse di una iperbole: intendevo dire che QUASI tutti gli autori non studiano la sintassi e la grammatica, consultano poco il dizionario e non frequentano i classici italiani. Come la metti la metti, pero’: il dato di fatto e’ che gli svarioni e la poverta’ tecnico-espressiva presenti in molti romanzi sono cose che denotano una cultura superficiale e raffazzonata, almeno per quanto concerne le cose che ho detto io, ovverosia la CULTURA UMANISTICO-LETTERARIA.
    Che poi ci son dietro gli editor a far da maestrini correttori di bozze lo sappiamo tutti: lasciati da soli, almeno nove autori su dieci scriverebbero come neanche scriveva chi aveva finito la terza media negli anni Sessanta. Eccezioni a parte, certo…

    Salutoni cari
    Sergio

  33. Sergio Sozi ha detto:

    Un ampliamento-chiarificazione rivolto a tutti:

    Ora citero’ una parte dell’intervento di M. Teresa Santalucia Scibona – che qui saluto con affetto – per ampliare il mio articolo parlando in breve anche del mio rapporto con la letteratura straniera.
    Ecco la citazione:

    ”Non volermene però se amo gli autori stranieri. Anche loro hanno plasmato la mia mente grezza e nutrito lo spirito e il cuore.”.

    Bene. Partiro’ da un (lungo) preambolo e poi trattero’ dell’argomento accennato dalla sig.ra Scibona – e da altre persone intervenute nella discussione.

    Preambolo

    Questo articolo era settoriale: si rivolgeva agli scrittori italiani – ed indirettamente ai lettori italiani, come e’ ovvio – per sottolineare una pessima ”tolleranza”: quella delle case editrici e del pubblico nei confronti dell’isolamento cui viene oggi condannato lo sterminato ”corpus” della nostra Storia Letteraria. Volevo insomma dire che bisogna smetterla di etichettare gli accademici – chiusi nelle universita’ a studiare Dante – come dei ”vecchi moribondi conservatori, dei topi di biblioteca che fan cose inutili per il mondo attuale”, perche’ cosi’ non e’ affatto: l’opera degli studiosi della nostra letteratura e’ cosa di altissimo valore umano, civile e patriottico, e da questo studio – e dalla capacita’ dei docenti stessi di divulgarlo – dipende molto della qualita’ della vita del nostro Paese. E bisogna – dicevo pure – che anche gli accademici stessi la smettano di autoconsiderarsi ”inutili per il XXI secolo dei computer e dell’inglese”, perche’ il loro sbaglio semmai sara’ un altro: quello di non andare in piazza a declamare la Divina commedia e di storcere il naso se lo fa uno come Benigni. Se la nostra vita pubblica e’ pessima, cio’ e’ in buona parte colpa della chiusura degli italianisti e dei letterati veri. L’errore del mondo accademico, cioe’, non risiede nel suo ”esistere” ma nel suo essere arroccato e per di piu’ disperato come lo e’ una razza in via di estinzione!
    Quel che mi auguro io e’, infatti, un ritorno da parte del popolo italiano all’elaborazione di un’identita’ cultural-nazionale chiara e profonda, esente da superficialita’ e pazzesche divisioni interne e cosciente del proprio vissuto storico, artistico, letterario, culturale, insomma CIVILE: la civilta’ e’ l’arte, l’invenzione, la creativita’ e la conoscenza – non la tecnologia, dunque, semmai invece la ”scienza” che ne sta alle spalle. La civilta’ e la democrazia sono basate non su ”tutte le parole” dette a casaccio, ma sulle ”parole pesanti” di chi ha anima, sensibilita’ e studio. Da queste persone mi aspetto una lotta per fare collettivamente ”il punto della nostra moralita’ e dei nostri valori nazionali”. Cioe’ della nostra ”identita’ collettiva”. Ma non chiedo certo un’identita’ monolitica – per carita’ di Dio, questa ce la potrebbe dare solo una dittatura – chiedo invece una ”piazza” in cui la nostra gente si riunisse attorno ad alcuni punti etico-morali storicamente tramandati da secoli e li discutesse condividendone alcuni fra i basilari (e magari rigettandone altri). La spersonalizzazione di oggi, il vuoto culturale e storico, la dittatura del ”presente”, cioe’ dell’attualita’, l’incomunicabilita’ quotidiana, sono solo i tanti aspetti di un’unica sottile violenza: la PREPOTENZA DELLE MODE imposte dall’economia. Se (forse) non siam piu’ ”popolo fatto di nomi ed individui” ma ”massa anonima”, inoltre, questo e’ un pessimo risultato derivato da due realta’ fortemente radicate in Italia: una ideologica, il marxismo, e l’altra economica, il capitalismo senza alcun freno morale, che domina ancora sfacciatamente.
    Personalmente non combatto queste due realta’ in maniera integrale, ma esigerei da esse di ridimensionarsi, di rinunciare a degli aspetti controproducenti di se’. Ma chi puo’ imporre ai violenti di diventare civili? Solo una Repubblica forte che abbia dei valori alternativi al marxismo e al capitalismo liberistico – cioe’ all’ ”integralismo capitalistico”. La Repubblica e’ il valore che cerco e c’e’ gia’, perche’ viviamo in una repubblica: e’ un valore che dunque va solidificato e rafforzato, rivivificato con la cultura letteraria e con la storia della cultura comune al popolo italiano. Perche’ e’ inaccettabile vivere in un Paese che abbia una sovranita’ su se stesso solo apparente o almeno troppo fragile: a noi tutti serve concentrarsi su noi stessi, su da dove veniamo e su chi siamo, sulle radici… per poterle rinnovare ed amare, per sentirle nostre e ben piantate in terra – questa terra e non un’altra.

    La letteratura straniera.

    Ora ditemi: quanto detto esclude la lettura degli autori stranieri? No di sicuro, piuttosto ri-include i nostri autori che oggi sono esclusi dalla conoscenza popolare!
    Io stesso amo autori come Huxley, Dostoevskij, Gogol, Yourcenar, Bruno Schulz, Singer, Rushdie, Queneau, Preseren, Gautier… e su di essi anche mi formo quotidianamente. Ma so di essere diverso da essi. Li amo e li accetto, ed anche mi lascio in parte modificare da essi, ma non sono un londinese o un polacco, un francese. Non lo sono e non lo saro’ mai: anche perche’ li leggo in traduzione italiana. Se voglio sapere CHI sono e da dove vengo storicamente devo leggere degli autori italiani. Non siamo tutti uguali: abbiamo tradizioni diverse e questo e’ bello e’ una ricchezza, se non accoppiata all’intolleranza ma al rispetto e alla fraternita’. Non esiste il ”cittadino del mondo”, ma esiste l’uomo cinese o francese, marocchino o italiano: a me spetta essere parte consapevole del mio popolo perche’ con questa consapevole mia unicita’ nazionale saro’ in grado di capire chi e’ diverso da me – e il ”diverso” capira’ me che son ”diverso” da lui.
    In soldoni: le basi culturali sono nazionali e solamente sopra queste fondamenta si devono costruire i solidi castelli del rispetto e della conoscenza di cio’ che e’ ”altro” dalla mia nazione e cultura.
    La tolleranza ”di per se”’ non ha forza, la ha solo la tolleranza che nasce dalla consapevolezza delle proprie origini e della propria natura. Una natura che secondo me, ormai, nel 2010, non puo’ essere altro che nazionale e non piu’ ”provinciocentrica”. Una nazione con molte sfumature regionali, ecco l’Italia che vedo io, non delle regioni con qualche sfumatura nazionale…

  34. Sergio Sozi ha detto:

    Rimando a domani sera la risposta al caro Enricocer.

    Salve

  35. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Enricocer,

    eccoci qua. Ti rispondo punto per punto… cioe’ ”puntigliosamente” (ah ah ah!).

    Allora:

    1) Si’, sono un desanctisiano. Lo dico apertamente e porto avanti percio’ quella che in Italia, anacronisticamente, e’ ancora oggi una battaglia e non un dato di fatto come sanno ed ammettono per i rispettivi Paesi tutti gli altri europei (eccetto le minoranze linguistiche, cioe’ gli alloglotti presenti nelle Nazioni, ovviamente). Solo da noi ancora, nel 2010, si polemizza su questo: la rappresentativita’ o meno della Storia letteraria d’Italia come spaccato della coscienza nazionale nel suo evolversi e fare Storia. E i particolarismi regionali politici, ovviamente, gettano benzina sul fuoco (per motivi economici, loro). Io pero’ vedo una sola Storia della letteratura italiana, con delle sfumature e moltissime analogie.
    Sul Manzoni: cosa parlasse lui e’ ininfluente. Quel che conta e’ che i Promessi sposi dell’edizione ”quarantana” sono stati per piu’ di un secolo il punto di riferimento che sappiamo e hanno creato l’italiano moderno, ovvero quello da cui deriva la lingua di milioni di italiani, compresa la mia, soprattutto scritta (scripta manent, no? E verba…). Un libro che resta canonico e canonizzatore per cento anni non credo possa essere messo in un cantuccio solo perche’ oggi non abbiamo voglia di studiare l’italiano, no? Perche’ questo e’ il punto: la gente non ha voglia di studiare, visto che contano solo i soldi e i numeri (cioe’ la barbarie delle cifre, detto per esteso).

    2)La lingua come costrizione. Si’, lo e’ state e lo e’ tutt’ora. Ben venga, sono d’accordo: costringiamoci e costringiamo i nostri connazionali ad interiorizzare la implicita dignita’ di una lingua nazionale. Studiandola.

    Le altre risposte a piu’ tardi. Ciao

  36. Sergio Sozi ha detto:

    (Continua, per Enricocer)

    3) Qui ti cito: ”La costruzione dell’italiano come lingua nazionale è nata quindi a tavolino, seguendo un processo inverso rispetto alle altre lingue nazionali. Il francese, l’inglese e il castigliano, nelle strutture portanti, affondano le loro origini nel medioevo e sono state contemporaneamente lingue parlate e lingue letterarie. L’italiano, o meglio alcune accezioni dell’italiano, è stata invece lingua letteraria ma non lingua parlata o capita nell’intera penisola.”.
    Il solito ”ritardo dell’affermazione dell’italiano”. Va be’, in parte e’ stato proprio cosi’, ma questo magari – in mancanza di lingue alternative per parlare fra connazionali – sara’ uno stimolo in piu’ per approfondire la lingua nazionale, non un motivo per lasciarla marcire nella valanga dei forestierismi e delle strutture scopiazzate dagli americani. Ed anche l’italiano, comunque, affonda le proprie origini nel Medioevo – come le altre lingue europee anche l’italiano ha delle strutture portanti medievali, come anche tante sono le espressioni dantesche che si sono usate per sette secoli, sappiamo, e tanti pure i lemmi d’origine medievale, oltre che greco-latina.
    Non capisco proprio cosa abbia di tanto insopportabile questa nostra lingua, che, se usata da chi la domina e la gestisce bene, da’ voce esattamente a cio’ cui danno voce le altre lingue di tutto il mondo. E’ meno chiara dell’inglese? E’ prolissa e ambigua? Macche’: se sai l’italiano, puoi dire le stesse cose con la medesima esattezza. Se non la sai iniziano i problemi. Come e’ per tutte le altre lingue del mondo.

    4)Ti cito ancora:
    ”La lingua italiana è giovane (e antichissima nello stesso tempo) ma è anche sottoposta ad un fuoco incrociato: da una parte è vittima dello strapotere dell’inglese che ha finito per colonizzare interi settori della cultura (economia in primis) e dall’altra della persistenza di lingue locali (specie nel meridione d’Italia e nel settentrione) che rivendicano una propria dignità e il dovuto rispetto. Se a questa situazione aggiungiamo l’indebolimento morfo-sintattico di cui si è fatto promotore (involontario?) il mezzo televisivo, la situazione attuale risulta piuttosto chiara.”
    Questa constatazione, che condivido appieno, conferma ulteriormente la necessita’ di ispirarsi a dei capisaldi autorevoli come i classici e come i repertori linguistici e le grammatiche, meglio se quelle degli Anni Sessanta (vedi il Panozzo, che e’ ottimo) per non vedersi inghiottire la lingua nazionale da questi mostri ipervalutati dai linguisti (e soprattutto auto-ipervalutatisi per i soliti motivi di interessi politico-economici, non culturali).

    5) Dici: ”La Letteratura italiana viene spesso vista e vissuta come un nido di reazionari smussati in tutti gli aspetti progressivi e originali. Una letteratura di morti per morti o morituri, chiusa ad ogni novità e pronta ad erigere un presunto canone come valore assoluto. Naturalmente questo è un approccio sbagliato ma non privo di motivazioni.”.
    Se, come puntualizzi, tale approccio e’ sbagliato, forse sarebbe il caso di non giustificare questa reazione: infatti l’italiano e’ a disposizione di tutti perche’ sta nelle biblioteche, che sono aperte al pubblico dovunque. Riprendiamocelo, accademici o non accademici. E’ nostro, cerchiamo di essere suoi amici, non e’ un estraneo, anzi ci apre tante strade – ed e’ anche la quinta lingua straniera piu’ studiata nel mondo. E’ un po’ assurdo che gli stranieri lo sappiano meglio di noi, no?

    6) Ultimo punto, ultima citazione (integrale stavolta): ”Ritengo che il rapporto con le letterature di altri paesi e continenti non possa che essere proficuo. Il respiro delle idee è ormai planetario, un’oscillazione della borsa di New York provoca dissesti in tutto il mondo, un’idea, degna di questo nome, non si ferma davanti ai confini fittizi degli stati ma si spande a macchia d’olio. Più che assumere le opere di autori stranieri in dosi omeopatiche credo che sia più opportuno leggere opere di valore. Uno scrittore che ha un sano impianto culturale le digerirà e farà suoi gli aspetti che gli potranno essere utili per la struttura del suo pensiero e della sua scrittura. Non era del resto Pirandello un grande ammiratore di Cervantes? E non fu proprio Croce, se non erro, che definì l’opera di Pirandello a metà tra la poesia e un “convulso, inconcludente filosofare”. Non era Pavese, prima di essere il narratore che è stato, un grande estimatore e traduttore della narrativa angloamericana? Possiamo definire Pavese un imitatore di Herman Melville, di Sinclair Lewis o Sherwood Anderson? Inoltre credo che narrativa e poesia si nutrano anche di filosofia. Bisogna rinunciare a questo nutrimento solo perché le maggiori correnti filosofiche, nel secolo scorso, si sono sviluppate in Francia e Germania?”
    Allora. Il respiro planetario delle idee e delle filosofie e’ cosa che prosegue il suo percorso. Ma l’idealismo di Croce non era quello di Hegel, aveva una sua autonomia tutta italiana, come anche (mutatis mutandis) l’Attualismo gentiliano. Pertanto, credo che sia sbagliato non tanto attingere al pensiero e alle correnti letterarie di altre Nazioni, ma acquisirle passivamente senza svilupparle come succede oggi. E’ cosa da popoli arretrati ed improlifici, questa.
    Inoltre, ora che abbiamo visto cosa l’Italia ha preso dagli altri, perche’ non ricordiamo cosa ha dato agli altri popoli del mondo?
    La lista la sappiamo bene entrambi ed e’ molto lunga, troppo lunga per questo spazio virtuale e per la capacita’ di concentrazione nella lettura ch’esso ci concede. Dico solo qualche nome: Ludovico Ariosto, Giovambattista Vico, Francesco Petrarca, Durante Alighieri. fino all’Ottocento esistevano ancora petrarchisti dovunque in Europa… piu’ ”onda lunga” di cosi’…

    Ed e’ tutto – huf!

    Un caro abbraccio e scusami per l’inesaustivita’.
    Sergio

  37. enricocer ha detto:

    Caro Sergio,
    quello che tu affermi è chiaro. C’è un aspetto che volevo semplicemente rimarcare. Io credo che la lingua sia un corpo vivo che si evolve (o – nel caso italico – involve?), che comunque tende a modificarsi. E’ una direzione naturale che difficilmente può essere invertita. Ricorderai benissimo quanto Quintiliano abbia cercato di frenare la corruzione del latino, quanto abbia richiamato i suoi contemporanei all’eloquenza antica. Non credo che questi siano bei tempi per le lingue: il mutamento interessa un po’ tutte le lingue e, naturalmente, le prime ad essere colpite sono quelle meno radicate nei parlanti. Non so quale sarà la lingua del futuro nella penisola. So solo che sono nato nel 1962 ed i miei primi ricordi sono solo in dialetto (i miei conoscevano, da buoni analfabeti, solo il dialetto) ed ora sento – come dice una canzone di Guccini – “bestemmiare in alamanno e goto” e sento spesso i colleghi discutere di shopping, outlet, weekend, t-shirt, gossip, fashion, trash, ecc. tacendo il linguaggio economico.
    Sempre più spesso nei temi dei miei studenti vedo apparire parole ed espressioni inglesi (spesso in un un italianinglese maccheronico con rigurgiti dialettali) ma che credo siano la spia di un mutamento molto più avanzato di quello che crediamo. E’ bene conservare una lingua nazionale per poter continuare a generare arte e trasmettere pensiero, ed è bene farlo secondo norme sintattico-grammaticali italiane. Ma ritieni che questo possa davvero arginare questo fenomeno?
    Un caro saluto
    Enrico

  38. Sergio Sozi ha detto:

    Caro Enrico,

    poiche’ in una democrazia contano i ”numeri”, significa che se riusciremo a creare consensi attorno a questa ”politica” di rivalutazione e rafforzamento della lingua italiana, avremo piu’ possibilita’ di sfondare il muro del silenzio e di stimolare almeno il mondo degli scrittori a rafforzare le proprie competenze linguistiche e a tener duro a scuola con gli sciocchi ed inutili forestierismi.
    In ogni caso, io faccio la mia parte senza preoccuparmi di aver seguito o no. E’ una questione di coscienza e di amore, credo proprio, per me.

    Salutoni

    Sergio

  39. Renzo Montagnoli ha detto:

    Mi permetto di aggiungere che gli scrittori validi, cioè non quelli di moda che straripano per un anno e poi si dimenticano, scrivono bene in italiano. Provate a leggere qualche cosa di Vassalli, di Camon, di Sciascia o di Bonaviri e lì è possibile trovare non solo una forma esemplarmente corretta, ma anche un’attenta ricerca dei termini utilizzati, frutto mai di banalità. Sanno sempre esattamente ciò che vogliono dire e lo scrivono nel migliore dei modi, ricorrendo non tanto a una lingua parlata, ma a quella scritta, che sarebbe rimasta sostanzialmente inalterata, se non fosse stata sovraccaricata da circa un ventennio da anglicismi del tutto inutili e insopportabili e da neologismi che anzichè chiarire complicano e offuscano (per esempio, fino a non molto tempo fa si diceva “netturbino”, mentre ora ci si ingrassa parlando di “operatore ecologico”, cioè due parole in luogo di una che sfido chiunque a comprendere con immediatezza a che lavoro corrispondano).

  40. Sergio Sozi ha detto:

    …io aggiungerei anche – per non sembrare ottuso -che i ”bravi” sperimentalisti si distinguono dagli ”ignoranti e pretenziosi” proprio perche’ sanno su cosa stanno mettendo le mani (insomma se volessero potrebbero scrivere in un italiano sublime). Vedansi Gadda, Manganelli, Pizzuto, Bontempelli, Consolo.

  41. Sergio Sozi ha detto:

    Dopo l’intervento di Renzo Montagnoli – rispetto al quale reputo superfluo esprimere la mia completa condivisione – vorrei ora proporre a tutti l’interessante quesito di Enrico Cerquiglini, per sapere cosa ne pensano i lettori della Ginestra. Lo copio qua sotto:

    ”E’ bene conservare una lingua nazionale per poter continuare a generare arte e trasmettere pensiero, ed è bene farlo secondo norme sintattico-grammaticali italiane. Ma ritieni che questo possa davvero arginare questo fenomeno?”

    Passo la domanda a tutti. E spero che ci siano degli altri interventi…

  42. Sergio Sozi ha detto:

    P.S.
    Il ”fenomeno” cui allude Enrico e’ quello che lui stesso descrive cosi’:
    ”Non credo che questi siano bei tempi per le lingue: il mutamento interessa un po’ tutte le lingue e, naturalmente, le prime ad essere colpite sono quelle meno radicate nei parlanti. Non so quale sarà la lingua del futuro nella penisola. So solo che sono nato nel 1962 ed i miei primi ricordi sono solo in dialetto (i miei conoscevano, da buoni analfabeti, solo il dialetto) ed ora sento – come dice una canzone di Guccini – “bestemmiare in alamanno e goto” e sento spesso i colleghi discutere di shopping, outlet, weekend, t-shirt, gossip, fashion, trash, ecc. tacendo il linguaggio economico.”

    Ed ora, chi vuole scriva la sua.

  43. caro Sergio, mi scuso se scriverò qualche strafalcione,ho ancora la febbre che sale e scende e per ora non demorde. Forse nel delirio… ho pensato che sarebbe auspicabile un corso accellerato, ma sodo di verbi, grammatica,e sintassi per i nostri politici di tutti gli orientamenti.
    Del resto anche loro rappresentano la nostra labile
    ” Italietta”. Tu, saresti un maestro ideale e altri
    probi intellettuali preparati come te.
    Sono certa che la loro effimera oratoria politichese, divenuta più colta e sommessa, gioverebbe all’immagine sciatta e caciarona che stiamo dando al mondo. Ave Sergio, inizia a preparare il cocodrillo!

  44. Sergio Sozi ha detto:

    Cara Maria Teresa,

    scusami innanzitutto per l’imperdonabile ritardo di questa mia. Ma veniamo al tuo intervento (pieno di affetto e stima che ricambio di cuore e di… penna!)Be’: io un ”maestro ideale” per i politici, affermi che sarei? Non credo proprio, scusami: io, nel mio piccolo, sono una persona che tende alla serieta’. Sono solo uno che ”tende alla serieta”’, dico, perche’ la gioia di vivere mi contamina fino alle stelle, a volte, e si sa che la gioia di vivere e l’amore non sono ideali guide morali per la politica, ne’ ora ne’ mai. Pensa che sono ingenuo, scolastico insomma ”naive” anche quando scrivo narrativa (dice mia moglie)! Figurati cosa metterebbe in bocca ai politici, agli uomini di potere, uno fuori dal tempo come me… no, no… l’Italia gia’ ha tante disgrazie, aggiungerne una ”soziana” sarebbe troppo.

    Salutoni cari
    Sergio

  45. Sergio Sozi ha detto:

    Per tutti:
    enrico chiede come arginare la decadenza della lingua italiana.
    La mia risposta e’ una sola: amore. Amore cioe’ compenetrazione, addirittura identificazione dell’Io nella lingua. Sono cio’ che parlo. La mia identita’ dipende dalla mia lingua. Solo cosi’, solo se questo divenisse fenomeno popolare italiano, si riuscirebbe a ”lavorare” sulla lingua in maniera intelligente – evitando i conservatorismi stupidi e le stupide innovazionei (che e’ quel che vorrei).

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